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martes, 16 de marzo de 2021

ANNIBALE di Gianni Granzotto - RECENSIONE

 
Annibale fa parte della storia d’Italia e anche della Spagna, un episodio che quando studiavo non lo capì bene. Mi piacevano i nomi bizzarre come Amilcare, Asdrubale e Annibale ma mi annoiavo a morte con le guerre puniche. Non sapevo cosa significava questo nome, tante battaglie raccontate in maniera sintetica non prendevano nella mia immaginazione. Certo, l’unica parte che rimassi nel mio cervello fu quella degli elefanti. Per me, nel periodo scolastico Annibale era un episodio di cui aveva che sapere alcune cose e che si poteva dimenticare subito dopo aver fatto l’esame. 
Forse è stata questa mancanza che mi attirò ad acquistare il libro come un regalo di Natale a me stessa. Lì rimase, sul tavolo: c’erano altre letture che mi attendevano. 
Mi piacciono i romanzi, ogni tanto leggo un saggio. Era da molto tempo che non lo faceva ma leggere un libro di Annibale scritto da un italiano, Gianni Granzotto, potesse fare che capisci la storia di questo grande guerriero? Non poteva essere di un altro modo: capì la storia di Annibale e sono contenta di averla letto. 
Sono consapevole che questo libro è stato scritto quaranta anni fa, che può darsi che sia un poco vecchio. Ma a me è piaciuto. Perché? Perché non è un libro scritto per storici, con un mucchio di date che non si sa cosa fare con esse; perché cerca di far capire al lettore la storia di un uomo eccezionale dall’infanzia fino alla sua morte attraverso non solo delle battaglie, del suo percorso militare. Si cerca di capire all’uomo attraverso le sue motivazione, quello che ha fatto di Annibale un genio della guerra e un personaggio di leggenda. 
Avrei potuto riempire questa recensione con un sacco di citazioni ma non lo farò. 

Per l’immaginazione infantile gli elefanti e gli Alpi vanno unite, ma quello che non si racconta nei libri di storia è la sofferenza sia degli animali sia degli uomini che furono i protagonisti di questo episodio così conosciuto, prima e poi di attraversare la montagna:

-il passo del Rodano: “Il Rodano è un fiume largo e rapido. Era necessario apprestar un ponte di passaggio molto solido, bene ancorato e resistente alle correnti. Poi c’era il problema più difficile, quello degli elefanti. Davanti all’acqua profonda si irrigidivano, non c’era verso di muoverli d’un passo”, scrisse Granzotto nella pagina 84. Ma Annibale è passione e anche immaginazione. E allora, cosa fa Annibale? 


Mise in acqua dei grandi zatteroni, accostati ai bordi erbosi della riva come ne fossero la naturale continuazione. Sulle zattere fece sparegere terra, foglie, qualche sasso; l’impressione era che non fossero elementi galleggianti, ma il terreno medesimo della sponda che sporgeva in avanti. Con quell’inganno gli elefanti si mossero (…) 

-il passo delle Alpi: Con le montagne non si scherza, soprattutto con quelle che sono tanto alte come queste che doveva attraversare Annibale, il suo esercito e… gli elefanti.

La strada cominciava a farsi scoscesa, si inerpicava con ripidi tornanti in un paesaggio sempre più solitario. Si doveva salire fino ai duemila metri, ed oltre, del passo: altitudini mai esperimentati da Annibale e dai suoi, tra nevi, nebbie e venti inquietanti (pagina 101). Immaginate la scena, così come l’ho fatto io, di guerrieri africani, che non hanno salito mai una montagna così alta, che non hanno provato il freddo della neve, dell’aria dell’alta montagna! E gli elefanti? La sofferenza di questi animali che abitano su una terra calorosa fu incredibile: 


L’unica compagni a rimanere intatta fu quella dei 37 elefanti. Non se ne perse uno in tutto il viaggio. Erano senza dubbio più forti e resistenti dei loro compagni di traversata. Ma arrivarono lividi (…); lividi e ottenebrati, più dell’altitudine e dal freddo che dalla fatica. Ansimavano da far spavento. Un elefante a duemila metri è un fatto contro natura. Deve trascinarsi dietro le sue cinque tonnellate di peso, e lo sforzo polmonare, la stretta del cuore diventano terribili anche per un gigante; soprattutto per un gigante. (…) Prima che l’anno finisse gli elefanti morirono tutti, appena arrivati alla pianura e all’inverno (pagina 103). 

Questa maniera di scrivere di Gianni Granzotto fu la colpevole di farmi continuare a leggere fino all’ultima pagina. Il suo stile, tra il romanzo, il saggio e il giornalismo, è fluido, fa interessare al lettore sia nella descrizione delle battaglie sia nella descrizione della maniera di agire del grande generale cartaginese. Un uomo testardo nel suo odio a Roma, un odio alimentato da suo padre dal momento in cui gli fece giurare, con nove anni, che sempre lotterebbe contro i romani. 
Il libro ne vale la pena leggerlo, sia per imparare di più su un argomento così interessante (come è successo a me), sia per ricordare la figura di un uomo che durante più di quindici anni cercò di essere fedele al padre Amilcare. 
Ma Annibale non era soltanto un guerriero, era un uomo geniale che “riuscì anche a riordinare le finanze di Cartagine (…). Fece riscuotere tutte le imposte arretrate (…) .Istituì organi di controllo sugli affari di guerra” dice l’autore nella pagina 299. Quindi, era anche un valido amministratore nella pace e non solo. Dopo questo periodo di pace, rimase in disparte per tre anni ritornando ai possedimenti di famiglia ad Adrumeto. Durante tre anni si mise a piantare olivi, trasformando il terreno che prima era stato dedicato a grano. Anche in questo il genio di Annibale è palese: riuscì anche a portare con grande successo questa impresa. 
Sia come uomo di guerra che come uomo di pace il genio di Annibale rimarrà per sempre nella Storia. Forse un genio un po’ pazzo, molto passionale, ma un genio alla fine. 
Gianni Granzotto, col suo libro, mi ha fatto sognare un’altra volta come se fossi una ragazzina che ha tra le sue mani un libro di avventure, ma raccontate in maniera così egregia di farmi amare un’altra volta la Storia antica, quella che è la base di quello che siamo adesso. 
Finisco con delle parole dell’autore sulla Storia:

Annibale siamo noi, duemila anni fa. La sua storia è la nostra storia. E il ricordo che riusciamo a decifrane è, in sostanza, un ricordo di noi stessi.


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