Annibale fa parte della storia d’Italia e anche della Spagna, un
episodio che quando studiavo non lo capì bene. Mi piacevano i nomi
bizzarre come Amilcare, Asdrubale e Annibale ma mi annoiavo a morte
con le guerre puniche. Non sapevo cosa significava questo nome, tante
battaglie raccontate in maniera sintetica non prendevano nella mia
immaginazione. Certo, l’unica parte che rimassi nel mio cervello fu
quella degli elefanti. Per me, nel periodo scolastico Annibale era un
episodio di cui aveva che sapere alcune cose e che si poteva
dimenticare subito dopo aver fatto l’esame. Forse è
stata questa mancanza che mi attirò ad acquistare il libro come un
regalo di Natale a me stessa. Lì rimase, sul tavolo: c’erano altre
letture che mi attendevano.
Mi
piacciono i romanzi, ogni tanto leggo un saggio. Era da molto tempo
che non lo faceva ma leggere un libro di Annibale scritto da un
italiano, Gianni Granzotto, potesse fare che capisci la storia di
questo grande guerriero? Non poteva essere di un altro modo: capì la
storia di Annibale e sono contenta di averla letto.
Sono
consapevole che questo libro è stato scritto quaranta anni fa, che
può darsi che sia un poco vecchio. Ma a me è piaciuto. Perché?
Perché non è un libro scritto per storici, con un mucchio di date
che non si sa cosa fare con esse; perché cerca di far capire al
lettore la storia di un uomo eccezionale dall’infanzia fino alla
sua morte attraverso non solo delle battaglie, del suo percorso
militare. Si cerca di capire all’uomo attraverso le sue
motivazione, quello che ha fatto di Annibale un genio della guerra e
un personaggio di leggenda.
Avrei
potuto riempire questa recensione con un sacco di citazioni ma non lo
farò.
Per
l’immaginazione infantile gli elefanti e gli Alpi vanno unite, ma
quello che non si racconta nei libri di storia è la sofferenza sia
degli animali sia degli uomini che furono i protagonisti di questo
episodio così conosciuto, prima e poi di attraversare la montagna:
-il
passo del Rodano: “Il Rodano è un fiume largo e rapido. Era
necessario apprestar un ponte di passaggio molto solido, bene
ancorato e resistente alle correnti. Poi c’era il problema più
difficile, quello degli elefanti. Davanti all’acqua profonda si
irrigidivano, non c’era verso di muoverli d’un passo”, scrisse
Granzotto nella pagina 84. Ma Annibale è passione e anche
immaginazione. E allora, cosa fa Annibale?
Mise
in acqua dei grandi zatteroni, accostati ai bordi erbosi della riva
come ne fossero la naturale continuazione. Sulle zattere fece
sparegere terra, foglie, qualche sasso; l’impressione era che non
fossero elementi galleggianti, ma il terreno medesimo della sponda
che sporgeva in avanti. Con quell’inganno gli elefanti si mossero
(…)
-il
passo delle Alpi: Con le montagne non si scherza, soprattutto con
quelle che sono tanto alte come queste che doveva attraversare
Annibale, il suo esercito e… gli elefanti.
La
strada cominciava a farsi scoscesa, si inerpicava con ripidi tornanti
in un paesaggio sempre più solitario. Si doveva salire fino ai
duemila metri, ed oltre, del passo: altitudini mai esperimentati da
Annibale e dai suoi, tra nevi, nebbie e venti inquietanti (pagina
101). Immaginate la scena, così come l’ho fatto io, di
guerrieri africani, che non hanno salito mai una montagna così alta,
che non hanno provato il freddo della neve, dell’aria dell’alta
montagna! E gli elefanti? La sofferenza di questi animali che abitano
su una terra calorosa fu incredibile:
L’unica
compagni a rimanere intatta fu quella dei 37 elefanti. Non se ne
perse uno in tutto il viaggio. Erano senza dubbio più forti e
resistenti dei loro compagni di traversata. Ma arrivarono lividi (…);
lividi e ottenebrati, più dell’altitudine e dal freddo che dalla
fatica. Ansimavano da far spavento. Un elefante a duemila metri è un
fatto contro natura. Deve trascinarsi dietro le sue cinque tonnellate
di peso, e lo sforzo polmonare, la stretta del cuore diventano
terribili anche per un gigante; soprattutto per un gigante. (…)
Prima che l’anno finisse gli elefanti morirono tutti, appena
arrivati alla pianura e all’inverno (pagina 103).
Questa
maniera di scrivere di Gianni Granzotto fu la colpevole di farmi
continuare a leggere fino all’ultima pagina. Il suo stile, tra il
romanzo, il saggio e il giornalismo, è fluido, fa interessare al
lettore sia nella descrizione delle battaglie sia nella descrizione
della maniera di agire del grande generale cartaginese. Un uomo
testardo nel suo odio a Roma, un odio alimentato da suo padre dal
momento in cui gli fece giurare, con nove anni, che sempre lotterebbe
contro i romani.
Il
libro ne vale la pena leggerlo, sia per imparare di più su un
argomento così interessante (come è successo a me), sia per
ricordare la figura di un uomo che durante più di quindici anni
cercò di essere fedele al padre Amilcare.
Ma
Annibale non era soltanto un guerriero, era un uomo geniale che
“riuscì anche a riordinare le finanze di Cartagine (…). Fece
riscuotere tutte le imposte arretrate (…) .Istituì organi di
controllo sugli affari di guerra” dice l’autore nella pagina 299.
Quindi, era anche un valido amministratore nella pace e non solo.
Dopo questo periodo di pace, rimase in disparte per tre anni
ritornando ai possedimenti di famiglia ad Adrumeto. Durante tre anni
si mise a piantare olivi, trasformando il terreno che prima era stato
dedicato a grano. Anche in questo il genio di Annibale è palese:
riuscì anche a portare con grande successo questa impresa.
Sia
come uomo di guerra che come uomo di pace il genio di Annibale
rimarrà per sempre nella Storia. Forse un genio un po’ pazzo,
molto passionale, ma un genio alla fine.
Gianni
Granzotto, col suo libro, mi ha fatto sognare un’altra volta come
se fossi una ragazzina che ha tra le sue mani un libro di avventure,
ma raccontate in maniera così egregia di farmi amare un’altra
volta la Storia antica, quella che è la base di quello che siamo
adesso.
Finisco
con delle parole dell’autore sulla Storia:
Annibale
siamo noi, duemila anni fa. La sua storia è la nostra storia. E il
ricordo che riusciamo a decifrane è, in sostanza, un ricordo di noi
stessi.
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