L’ultimo romanzo di Francesco Grimandi.
Un personaggio molto simpatico, Jacopo, Vicario di Giustizia.
Bologna. XIII secolo. Un mistero quasi insormontabile. Vi
incuriosisce? Sono certa di sì, come è successo a me quando ho
incominciato a leggere il libro. Innanzi tutto, è da mesi che avevo
voglia di leggere un libro di questo scrittore, amante della Storia
Antica e dei misteri. Quando ha chiesto una mia recensione, non ho
dubitato: ho detto di sì, un SÌ grande così.
Cosa
posso dirvi del romanzo perché vogliate leggerlo? Vediamo che cosa
mi viene in mente.
Innanzitutto:
ci sono due storie che si intrecciano tra le pagine del libro. Una
nel guscio della fantasia e un’altra più prosaica. Entrambe sono
interessanti e vi farà rimanere sbalorditi fino all’ultima pagina.
In
secondo luogo: il personaggio di Jacopo, Vicario di Giustizia. Un
uomo onesto, ma senza soldi, con un gran senso dell’umorismo. Il
libro ne è pieno. Ad esempio, Jacopo, cercando di entrare in modo
subdolo in un palazzo pensa: Cosa
toccava fare per guadagnarsi da vivere?
O, in un altro punto: Avrebbe
potuto chiedere di essere ammesso in un monastero, talmente si stava
abituando a digiunare.
In
terzo luogo: gli amici di Jacopo. Sono due. Uno speziale, Niccolò, e
il notaio e cancelliere, Graziano Bambaglioli. Sono quelli che
imbrogliano Jacopo nelle trame del libro.
Quarto
luogo: la città dove si svolge l’azione. La Bologna del Trecento,
dove vive gente molto povera e uomini ricchi che credono essere al di
sopra di tutti. Tra questi due mondi si muove Jacopo Lamberti, il
protagonista del romanzo. Il carattere di Jacopo fa sì che a volte
si ribelli contro l’ingiustizia, anche se solo con il pensiero,
perché è un personaggio che conosce i suoi limiti.
La
maniera in cui Francesco Grimandi comincia questo romanzo è, quanto
meno, originale e anche misteriosa: Vicario,
voi dovete scoprire chi mi ha uccisa!
Una
frase rotonda, strepitosa, che invoglia il lettore a continuare la
lettura per sapere cosa significa e come finirà un romanzo iniziato
in maniera così straordinaria. Perché la frase non è stata
pronunciata da una pazza, bensì da una ragazza di una famiglia
potente, una ragazza che crede veramente in quello che sta dicendo. A
questo mistero se ne aggiunge un altro: la morte di un militare, un
Capitano, in un bordello. E non aggiungo di più.
Francesco
Grimandi svolge entrambe le storie in meno di duecento pagine, e
questo non è così facile. Con economia di linguaggio, di parole,
veramente ammirevole, Grimandi riesce a raccontare due storie che ad
altri autori sono convinta non basterebbero neanche trecento.
Inoltre, le magistrali descrizioni delle liti, tanto realistiche che
al lettore sembra di essere lì, come semplice osservatore, la
descrizione degli edifici, dei caratteri dei personaggi, sintetica ma
precisa, fanno del libro di Francesco Grimandi un romanzo da leggere
e assaporare con piacere.
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