Quiero compartir con vosotros mi sistema para escribir un libro. Lo primero es el nacimiento de la idea. Puede ser por una foto, puede ser un título que te viene de repente a la mente, puedes estar en cualquier sitio y ves una situación que te atrae (un parque, una iglesia, una casa, una conversación). Pueden ser muchas cosas.
Empecemos por el título. A veces lo primero que me viene a la mente es un título y luego un pequeño argumento del que sólo conozco tres o cuatro líneas. La imaginación es fantástica y suele ir más rápida que tus ganas de escribir o el tiempo que tienes para hacerlo. Así que escribo el título en un papel, voy al ordenador escribo las ideas principales del cuento o novela y luego meto el título en un pequeño baúl que me regaló mi hija hace un montón de años.
También puede que esté en un sitio determinado y mi mente empiece a montar una historia, por ejemplo con una buena amiga en un concierto de Bach en la Colegiata de Santa María, en A Coruña. Si no tengo la libreta a mano que suelo llevar para estas ocasiones, da lo mismo, le pido a mi amiga un bolígrafo (que se que lleva encima) y escribo lo que se me ocurre en el programa de mano del concierto. Cuando llegue a casa ya lo escribiré en la libreta. Más tarde usaré esto para el inicio de un relato o para una escena del mismo.
Cuentos en castellano, gallego e italiano. Libros de María Acosta Díaz. Traducciones de libros. Reseñas de libros en castellano, gallego e italiano.
jueves, 20 de diciembre de 2018
La rutina del escritor 1
Sono laureata in Sociologia, ho imparato italiano nella Scuole di Lingue a Corugna, mi piace leggere, scrivere e tradurre in tutte e tre lingue che conosco: galiziano, italiano e spagnolo. Adoro lavorare con il computer e posso rimanere ore avanti a esso.
miércoles, 12 de diciembre de 2018
Le Ombre: Segreti del Passato di María Acosta Díaz - Prime pagine
Ci saremmo divertiti moltissimo. Avevamo passato
i tre giorni precedenti ad organizzare la Notte di San Giovanni; era una festa che si
celebrava ogni anno. Dal momento che le nostre finanze
erano abbastanza scarse, decidemmo di organizzare una raccolta
di beneficenza: Sofía si offrì di comprare tutto il necessario. La
sera saremmo andati a casa di Teresa, dove avremmo incontrato
Ricardo, Paul e Irene. Era mezzogiorno, avevamo messo tutto
in un borsone sportivo ed uscimmo poi a prendere qualche birra lì
intorno prima del pranzo. Telefonammo ad alcuni amici poiché ci
avevano detto che, probabilmente, ci avrebbero portato delle sardine da
arrostire. Non li trovammo in quel momento e quindi ci dirigemmo verso
la Plaza del Dos de Mayo, passammo lì un’oretta tra un
bar e un altro, richiamammo i nostri amici e questa volta ci rispose
Carlos: «Verrete stasera? Ah, mi dispiace. Beh, se
vi riprendete saremo in Plaza de
Lara. Abbiamo comprato quattro litri. Se non vi vediamo,
vi chiamerò la settimana prossima. A presto».
«Che hanno
detto, Luís? Non vengono?» domandò Sofía.
«No, Arturo sta malissimo. Sai com’è
fatto, no? Ieri sera sono usciti e oggi risente di
una sbornia formato king size. Mi hanno detto che se
si sentirà meglio può darsi che vengano, ma non è sicuro».
«Va bene, andiamo a mangiare, così
dopo possiamo andare a prendere qualcosa da bere per abituare il
corpo all’uscita di stasera».
Tornammo a casa. Stavamo mettendo la tovaglia
quando suonò il campanello: era Eduardo che veniva a vedere Sofía a
proposito di una qualche riunione che avevano la settimana
seguente. Questa non si fermava: sempre qui e là ad assistere a tavole
rotonde e a conferenze organizzate da associazioni che non conosceva
nessuno. Lei però si divertiva come una matta. Le aprì la
porta:
«C’è Sofía?»
«Vieni, stavamo per mangiare».
«Aggiungo un altro piatto. Stasera andiamo
ai falò di San Giovanni a bere queimada. Ti unisci a
noi?».
«Non lo so, forse», rispose Eduardo, «ho un
po’ di appuntamenti stasera e non ho idea di quando finirò».
«Sì, certo! Vai a far riunioni fino alle quattro
del mattino! Ma per favore! Dai, ci divertiremo alla
grande. Saremo in piazza a mezzanotte e sicuramente ce la
spasseremo fino alle cinque del mattino. Se ti
va, sai già cosa devi fare. Mangiamo».
Sofía ed Eduardo passarono almeno
due ore a parlare di solidarietà e rivoluzione. Io intervenivo
ogni tanto, ma anche così non ci capivo un bel niente. Come da programma,
uscimmo a prendere qualcosa da bere, dopo di che Eduardo se ne andò,
tutto su di giri, a partecipare ad una serie di riunioni che lo
facevano spostare da un estremo all’altro di Madrid. Saranno state le
dieci di sera quando prendemmo le nostre cose e ce ne andammo a casa
di Teresa. Non era ancora arrivata e quindi ci recammo al
“Botas” ad ascoltare un po' di musica rock. Ci prendemmo un paio
di birre e mettemmo cento pesetas nella macchina delle
palline. Sofía si mise a giocare di brutto. È troppo forte
questa tipa, sembra che faccia ginnastica quando gioca a flipper. Tornammo
a casa di Teresa, poteva darsi che i nostri amici fossero rientrati. Le
finestre erano illuminate, per cui suonammo il campanello per
farci aprire:
«Chi è?».
«Luís e Sofía».
«Salite, Paul e Irene non sono ancora arrivati».
La casa in cui entrammo stava in un vecchio
palazzo di Lavapiés, che però era stato ristrutturato all’interno. Loro
vivevano al primo piano, una vera fortuna soprattutto perché non c’era
l’ascensore. La porta era semiaperta, quindi entrammo e ce la richiudemmo
dietro; Teresa stava aprendo una bottiglia di vino in cucina e Ricardo era
in sala che cercava un disco di musica un po' ritmata:
«Lasciate pure il borsone in cucina. Facciamo
la queimada qua dentro?».
«No, che dici! Dobbiamo fare un fuoco!», esclamò Sofía.
«Va messa su un fuoco?», controbatté
Ricardo.
«Non hai capito: il fuoco serve a mescolarla
e a purificarti da fattucchiere e guai. La queimada si
fa in una ciotola di terracotta con
zucchero, fettine di limone, acquavite di orujo. Si da fuoco al
composto. L’alcol quindi si consuma, facendo assumere alla queimada un
aspetto bruciato grazie al fatto che lo zucchero si trasforma in
caramello e si mischia con l’acquavite: da qui il suo
nome».
«Ah, ora capisco. Però tu avevi detto
che l’avremmo fatto in casa. Per questo abbiamo dato appuntamento a
Pablo e Irene qui», disse Ricardo rivolgendosi a Sofía.
«Quello che ti ho detto è che l’avremmo fatto in
piazza e che se la polizia ci avesse fatto sloggiare da lì, allora saremmo
venuti a casa con la queimada. Per di più, il suo elemento naturale
è proprio l’aria fresca», rispose lei.
Mentre avveniva questa conversazione, io
trovai un disco di Ramoncín, di qualche anno
prima, quel pezzo che fa soy el rey del
pollo frito e, contemporaneamente, Teresa tornò dalla
cucina con il vino ed alcuni bicchieri:
«Facciamoci un paio di spinelli,
dai!».
«Dato che siamo in quattro, è più pratico un
sifone, no? È da un sacco che non ne faccio uno. Allora, un paio di
cartine, hashish, una sigaretta e mezza ed il filtro»,
contava Sofía mentre distribuiva il tutto sul tavolo, «ora,
siccome faccio gli spinelli con la sinistra, devo attaccare una cartina in
su ed incrociare l’altra…Ecco! Versami un bicchiere di vino per farmi venire
l’ispirazione, grazie», e fa un gran sorso di Sangre de Toro,
«è buonissimo, altroché! Ho proprio l’impressione che ci
divertiremo stasera».
«Come sempre la notte di San Giovanni».
«Io ancora di più», dice Sofía, «perché,
anche se non voglio, inalerò tutti i vapori che emanerà l’acquavite
mentre brucia; se poi aggiungiamo che non mi esimerò dal
bere…».
«Tu non esagerare, che poi finisci a
carponi».
«Senti chi parla! Perlomeno io ricordo quello che
ho fatto anche se sono ubriaca, non come altri, Luís caro. Tranquillo
che reggo. Prendi, accendi il sifone e non ci mettere una
vita che siamo in quattro a fumare. Bene, un altro bicchiere.
Possiamo mangiare qualcosa, no? Altrimenti tutta quest’alcol ci farà
male. Che ne dici, Teresa?».
«Ok, andiamo in cucina. Torniamo subito per
lo spinello».
«Vuoi ascoltare qualcosa in
particolare, Sofía?».
«Metti la
cassetta di Siniestro Total, la trovi nella mia giacca di
jeans», rispondono dalla stanza accanto.
Passo il sifone a Ricardo e vado a
vedere cosa preparano da mangiare. Le trovo l’una di fronte
all’altra al tavolo a tagliare asparagi selvatici:
«Ci metteremo meno di un’oretta,
vedrai: piatto di asparagi selvatici con costolette di maiale. E lo
spinello?», dice Teresa.
«Ora ve lo do, ce l’ha Ricardo».
«Wow, guardate cosa ho trovato! Due trip
dentro la copertina di “The Wall” avvolti in una carta con una
dedica all’interno!».
«Porca miseria! Non
me li ricordavo! Me li regalò Super, il tipo che ogni
tanto mi fa favori, per il mio compleanno. Ora mi viene in
mente che non ce li prendemmo perché eravamo così distrutti che farci
anche quelli sarebbe stato una cretinata. Figata! Li tagliamo in quattro
e quando finiamo con la queimada ce li prendiamo per star
su tutta la notte o quanto dureremo,
insomma. Certo che sì! Passami la canna», dice
Teresa.
«Bisogna festeggiare accendendoci un altro
sifone», dice Sofia fregandosi le mani mentre va in sala, «in più,
adesso mi verso un cicchetto di pacharán. Qualcuno lo
vuole?»
«Tutti lo vogliamo».
E quindi ci mettemmo a bere pacharán e
parlare di quanto ci saremmo divertiti quella sera, finché non si finì di
preparare da mangiare. Cenammo rapidamente ed in silenzio; io e Ricardo
poi andammo in cucina a preparare dei bicchierini di caffè
e rum. Suonano al citofono: sono Paul e Irene che portano altre due
bottiglie di orujo. Lascio la porta socchiusa e sentiamo risate
salire su per le scale:
«Ma che tonfo idiota, bello!
Ah ah ah ah!»
«C’ho il culo a purè», dice Paul, «Ahi, che
cavolo, non mi potrò sedere stasera! Ciao a tutti!»
«Sei caduto come al solito?», chiede
Ricardo.
«Da film comico questo qui!», dice Irene.
«Stavamo… ah ah ah… scendendo dalle scale della metro quando … c’è da
morire… va a cadere per terra di culo e…ha sceso così tutte le scale
del Noviciado! Piangevo dalle risate, davvero!».
«Dai, beviti un bicchiere», dice
Teresa.
«Dovrei bermi una cisterna di rum
per potermi dimenticare di tutto quello che mi fa male. Succede solo a me,
attraggo le cadute idiote come una calamita».
«Ma siediti, dai!», dice Sofía.
«Molto carina, la ragazza! Va beh,
ok: guarda se mi dovete prendere in giro tutta la serata! Basta
così, cazzo, ragazzi!», risponde Paul, cominciando ad arrabbiarsi.
«Non ti infastidire, bello; è che sei
il colmo delle disavventure. Prenditi un altro pacharán e
dimenticati alla grande di questa storia», dice Sofía conciliante,
«stavamo per andare in Plaza de Lara per preparare la queimada,
ci avete trovato a casa per un pelo».
«Non la facciamo qui? Così ci avevano detto
Teresa e Ricardo», dice Irene.
«Ma no!»
«E poi, ci siamo dati appuntamento
con qualche amico in piazza da mezzanotte in
poi. I gitani lì si spruzzeranno acqua addosso per
festeggiare l’arrivo dell’estate e poi andranno al falò. Un paio
d’anni fa ne preparammo uno fighissimo: bevvero finanche polizia
e metronotte che passavano di là, cantammo e battemmo le mani a
suon di musica fino alle sei del mattino».
«Una figata davvero!»,
risponde Luís.
«Andiamo», dice Sofía impaziente, «io
mi occupo di portare l’acquavite, Ricardo la ciotola di terracotta e
Teresa lo zucchero, i limoni e le mele».
«Portiamo anche il
registratore e qualche cassetta?».
«Non credo, finiscono per essere
un ingombro», dice Irene.
«Aspettate, dobbiamo dividerci i trip.
Ricardo, portati il coltellino e lo specchietto che trovi sul radiatore in
cucina. Ognuno se lo cala quando gli va. Siccome ce ne sono solo due,
devo tagliare ciascuno in tre parti; speriamo che siano buoni e che
ci diano un sacco di allucinazioni. Tieni, Irene, passatevi lo
specchietto e che ognuno prenda il suo pezzetto. Io me lo calo
adesso, così quando preparo la queimada strippo di
brutto», dice Sofía.
«Andiamo, Teresa chiudi a chiave», dice
Ricardo.
LA POLIZIA
SENZA PISTE NEL CASO DEI GIOVANI SCOMPARSI A CHUECA.
Madrid, 2 luglio.
– Sono passate due settimane da quando i vicini
di Lavapiés e Malasaña hanno visto per l’ultima volta
Ricardo e Teresa García Olavide, residenti in via Lavapiés, sita
nel quartiere
omonimo, e Luís Barros Sánchez e Sofía Castro Souto,
originari di La Coruña e residenti in via Jesús del
Valle, sita nel quartiere Malasaña.
Un conoscente dei
fratelli García Olavide, J. R. M., dice di averli visti uscire verso
mezzanotte portando con sé diversi borsoni. La polizia prosegue le
investigazioni in zona, sebbene il risultato dei suoi sforzi sia stato nullo
finora. I più vicini ai quattro giovani hanno dichiarato di non aver più
saputo nulla di loro dal giorno della festa di San Giovanni.
Il commissario
Soler, a capo delle investigazioni, chiede la collaborazione dei
vicini e di tutti coloro che li abbiano visti o possano
apportare informazioni che aiutino a risolvere il mistero. Questi i numeri per
mettersi in contatto con la polizia: 642-59-35 oppure 091
È una notte incredibile, senza nuvole, corre
solo una brezza leggera. I bar sono colmi di gente, i bambini giocano sui
marciapiedi e per i banchi della Plaza di Lavapiés si
bevono bottiglie di birra da litro e si fumano spinelli, si sente una
canzone de Los Nikis, al centro qualcuno ha acceso un falò. Giriamo a
destra in direzione Sombrerete, alla fine della strada si vede un nugolo
di gente: è il Y Punto, rock and roll e heavy metal,
aperto tutti i giorni fino alle sei del mattino, pienissimo di gente i
fine settimana. Nella Corrala, ragazzi e ragazze gitani corrono da
una parte all’altra con bottiglie di plastica, cubetti e persino le mani
grondanti di acqua, bagnandosi l’un l’altra; la maggior parte son zuppi. Grida,
risate, “attenzione che vi bagnate”, ci avverte un ragazzo che non avrà
più di dodici anni. In Plaza de Lara troviamo la stessa scena:
da un lato le mamme e le sorelle troppo grandi per questi giochi osservano come
si divertono i ragazzi. Entriamo in quello che sarà stato il cortile di un
vecchio orfanotrofio, bisogna scendere giù per qualche gradino. È un punto
in cui quattro o cinque macchine hanno parcheggiato di fronte alla piccola
scalinata, visto che in questo modo, se arriva qualche macchina della
polizia municipale o qualche volante della
polizia da Mesón de Paredes, non saranno in grado di
vederci.
Mentre Sofía comincia a preparare tutto
il necessario per fare la queimada, andiamo a cercare legna
per il falò con tutti gli altri:
«La prima ronda sarà quasi pronta per quando
tornerete. Vediamo se viene qualcuno di quelli che ho avvisato»,
dice.
«Spero che avremo la fortuna dell’anno
scorso, quando trovammo per caso due contenitori pieni di
legna», indica Ricardo.
Messo in vendita su Amazon
Vai a MIS LIBROS
Sono laureata in Sociologia, ho imparato italiano nella Scuole di Lingue a Corugna, mi piace leggere, scrivere e tradurre in tutte e tre lingue che conosco: galiziano, italiano e spagnolo. Adoro lavorare con il computer e posso rimanere ore avanti a esso.
viernes, 30 de noviembre de 2018
Arcana Rubris de Ugo Nasi - Primeras páginas
“No eran muchos los que
conocían el pasadizo secreto que partía de La Verruca. Se murmuraba, se decía, alguno
afirmaba que llegaba hasta Pisa, descendiendo por debajo del monte y
recorriendo la llanura, hasta la
Fortezza di Levante. Se encontraba cerca de un puente que se
llamaba precisamente de la
Fortezza.
Otros, en cambio, difundían el rumor de que el pasadizo unía La Verruca con la Roca de Caprona. Yo sabía que
esto formaba parte de las leyendas que circulaban sobre La Verruca , pero dejaba que
la plebe lo creyese, de esta manera mantendría en secreto el auténtico túnel.
Lo había hecho excavar, con mucha dificultad, por mis soldados para llegar
sin ser molestado a Nicosia y se abría en el espeso bosque, arriba del
convento, donde las rocas surgen en las laderas del monte: servía para que
saliesen los mensajeros o para que entrasen en La Verruca eventuales
refuerzos, y de esta manera no ser vistos por los enemigos que asediaban los
muros. Los soldados que lo habían excavado, casi todos muertos, por enfermedad
o por la guerra, o ya ancianos, para esconder el pasadizo del castillo habían
apoyado en la entrada una gruesa roca rectangular.
Durante el largo tiempo que había estado allí como comandante había
acumulado una auténtica fortuna y, para mantenerla escondida al resto de la
tropa, la había enterrado en el fondo de la galería, en una de las grutas
existentes.
Cuando las cosas empeoraron y comprendí que no se podía hacer nada contra
el enemigo sólo pensé en poner a salvo la piel.
Junto con los pocos soldados que habían quedado con vida apartamos la roca
que obstruía el pasadizo… y después, abajo, más abajo, lo más rápido posible.
Por desgracia las tropas florentinas, mientras tanto, habían penetrado en la
roca y, dándose cuenta de la galería, se habían puesto a seguirnos como lobos
hambrientos. Agotados, pronto fuimos presa del enemigo, que nos alcanzó casi al
final del pasadizo y nos traspasaron con las espadas.
Nadie, durante siglos, ha sabido de este tesoro.
Pero algunos años atrás, en Montemagno, se decía que alguien, que estaba
deambulando entre las rocas que desde la Verruca descienden hasta Nicosia, había
encontrado un tesoro y algunas armaduras.
Nunca se supo quién fue el afortunado, que incluso consiguió él mismo
mantener escondido su secreto. ”
Texto extraído de la “Leyenda
del tesoro del castillo de La
Verruca.”
Convento de San Agustín en
Nicosia (Pisa.)
Prólogo
Certaldo – Palacio Pretorio – 6 de agosto de 2012
La
joven francesa se mantuvo en precario equilibrio sobre la escalera de madera
propiedad de la
Sopraintendenza alle Belle Arti,
apoyada en las tejas del techo de la galería. El mono blanco que vestía también
era propiedad del organismo del Estado. Estaba a una considerable altura del
suelo. Pero no tenía miedo. O mejor dicho, lo habría tenido si se hubiese
encontrado allí por casualidad. En aquel momento, sin embargo, estaba demasiado
concentrada en el trabajo para permitirse el lujo de sufrir vértigo. Por lo
tanto no era el momento de tener un mareo por culpa de la altura. No era el momento
adecuado. Y además estaba sólidamente
asegurada con un arnés a los andamios puestos a su disposición por la Facultad Universitaria
de Siena para la consolidación y la restauración de aquellas reliquias alto
medievales que se remontaban a mucho antes del año mil: el Palacio Pretorio de
Certaldo.
A
pesar de sus veinticinco años en aquel momento parecía una niña, o quizás una
muchachita, que todavía se sorprende al jugar con muñecas. Mientras su lengua
lamía el labio superior blandía una
pequeña espátula de fibra de vidrio, de color azul, concentrada en la operación
que el profesor había reservado para ella: el refuerzo en las paredes, con yeso
de fijación rápida de color sepia claro, de un azulejo que se encontraba allí
desde hacía más de mil años, realizado a finales del siglo X.
El
bajorrelieve, de sesenta centímetros por sesenta, contaba la vida de Benedetto
V,
en concreto su exilio a Hamburgo, y, después, el traslado de sus restos
mortales, en el año 999, por orden del Emperador Otón III. Y a continuación dos
emblemas heráldicos, probablemente del siglo XIV.
–¿Sigues ahí? Aquí hemos
acabado –le preguntó su compañero de estudios de doctorado de Arqueología
Medieval.
–Espera un momento que ya
bajo –respondió la muchacha en perfecto italiano, humedeciéndose el labio con
la punta de la lengua, herencia de una adolescencia no olvidada.
Cerca
del bajorrelieve de travertino,
un azulejo de las mismas dimensiones, deteriorado debido a los agentes
atmosféricos en donde, sin embargo, todavía se percibían dos figuras: un hombre
y una mujer en el acto de bendecir, o señalar algo, con una mano.
Al
lado, más abajo, aparecían todavía, si bien pulidas por el tiempo, dos
palabras, como si fuesen el título de una película o de una novela.
–¿Arcana Rubris? –se preguntó con curiosidad la joven–Profesor, aquí
hay una frase muy extraña. Arcana Rubris.
El
profesor universitario que llevaba sobre la cabeza un ridículo Panamá para
defenderse de los penetrantes rayos solares de esa hora, escuchó distraído, ya
que estaba empeñado en transcribir en un registro del ateneo las actividades
desarrolladas en el último día de trabajo.
–¿Arcana Rubris? No me dice nada –respondió encogiéndose de hombros.
–De todos modos, genial.
–Recordémoslo como un tema
de tesis para proponer a nuestros doctorandos –prosiguió sin aparente interés,
para concentrarse de nuevo en aquel maldito trabajo burocrático.
Detrás
de un viejo plátano, que refrescaba la antigua plaza cegada por aquel sol
feroz, una figura retrocedió volviendo discretamente a la sombra.
La
muchacha retomó las operaciones de acabado del objeto de travertino, una
actividad que le apasionaba.
–¡En verdad que las
intervenciones de restauración que han hecho en el Palacio Pretorio hace unos
treinta años se las podían haber ahorrado aquellos incompetentes! ¡Han hecho
más daño ellos que los diez siglos de vida de este palacio! Por ejemplo… mira
aquí. Sin nuestra restauración el azulejo se hubiera caído –dijo volviéndose al
otro doctorando que ya había bajado la escalera.
–Y aquí hay, incluso, un agujerito perfectamente concéntrico ¡Que
desgraciados!
Atraída
por la curiosidad acercó la cabeza con la espesa cabellera rubia recogida con
un lazo azul entrecerrando los ojos, casi como queriendo explorar aquella
grieta.
Sintió
una tétrica sensación que no era compatible con aquel luminoso día.
Como
si más allá de la pequeña cavidad, en la oscuridad, una presencia sobrenatural
espiase cada uno de sus movimientos. Pero era imposible ver nada allí dentro.
Casi
como si se tratase de un abismo inexplorado, o un pequeño “agujero negro”
formado de antimateria que absorbiese toda la energía externa.
Desde
detrás de la baldosa del bajorrelieve, en la más profunda oscuridad, la poca
luz del sol que se filtraba desde fuera en aquella pequeña y sombría caverna,
fue enturbiada casi por completo, como una especie de eclipse, por los iris
azules de la joven, que ahora se movía rápidamente a no más cinco centímetros
del agujero, escrutando el interior del minúsculo espacio desconocido.
–Profesor, me parece que he
visto moverse algo allí dentro –dijo retrocediendo repentinamente, como si
hubiese percibido un peligro.
–Olvídalo. Será una araña, o
una lagartija. No perdamos más el tiempo. Cierra ese agujerito con el yeso y
sal de ahí. La temporada de las restauraciones finaliza aquí…
–Como los fondos del
Ministerio.
Sono laureata in Sociologia, ho imparato italiano nella Scuole di Lingue a Corugna, mi piace leggere, scrivere e tradurre in tutte e tre lingue che conosco: galiziano, italiano e spagnolo. Adoro lavorare con il computer e posso rimanere ore avanti a esso.
El Escritor de Danilo Clementoni - Primer capítulo
Astronave Theos – La
evacuación
«¡Abandonad
la nave!» exclamó Azakis desesperado.
La
orden perentoria del comandante se difundió al mismo tiempo en todos los
niveles de la Theos.
Los pocos miembros de la tripulación, después de una pequeña
vacilación inicial, siguieron automáticamente el procedimiento de evacuación
que habían entrenado tantas veces durante las simulaciones de emergencia.
«Ochenta
segundos para la autodestrucción» anunció de nuevo la cálida y tranquila
voz femenina del sistema central.
«¡Ánimo,
Zak!» gritó Petri. «No nos queda mucho tiempo, debemos largarnos.»
«¿Pero
no podemos hacer nada para interrumpir la secuencia?» replicó Azakis,
incrédulo.
«Por
desgracia no, amigo mío. De otro modo ya lo habría hecho, ¿tú qué crees?»
«Pero
no es posible» dijo el comandante mientras era arrastrado por un brazo por su
compañero de aventuras, en dirección al módulo de comunicación interno número
tres.
«En
realidad, se podría incluso intentar interrumpir de manera manual el
procedimiento pero necesitaríamos, por lo menos, treinta minutos y nosotros,
tenemos, más o menos, uno.»
«Espera,
párate» exclamó entonces Azakis liberándose con un tirón del fuerte agarre del
amigo. «No podemos dejar que explote aquí. La ola de energía que generará la
deflagración llegaría a la tierra en pocos minutos y la parte visible del
planeta sería embestida por una onda de impacto gigantesca que destruiría todo
lo que encontrase a su paso.»
«Ya
he preparado el control remoto de la
Theos desde la nave espacial. La desviaremos cuando
hayamos subido, siempre que te des prisa» le gritó Petri mientras aferraba de
nuevo el brazo del amigo y lo arrastraba a la fuerza en dirección al módulo.
«Sesenta
segundos para la autodestrucción.»
«¿A
dónde la quieres desviar?» continuó Azakis mientras la escotilla del módulo de
comunicación interno se abría en el puente de la nave espacial en el nivel
seis. «No será suficiente un minuto para conseguir que alcance una distancia
tal que...»
«¿Quieres
dejar de parlotear?» lo interrumpió Petri. «Cierra el pico y siéntate allí. Yo
me encargo.»
Azakis,
sin decir nada más, obedeció la orden y tomó asiento en la butaca gris al lado
de la consola central. De la misma manera que había hecho ya decenas de veces
en situaciones igualmente peligrosas, decidió fiarse completamente de la
capacidad y experiencia de su compañero. Mientras Petri trasteaba febrilmente
con una serie de hologramas tridimensionales de simulación, pensó en controlar
el resultado de la evacuación del resto de la tripulación, contactando de manera
simultánea con cada uno de los pilotos. En pocos segundos todos confirmaron la
reciente separación de las naves espaciales de la nave nodriza. Estaban
alejándose rápidamente. El comandante dejó escapar un hondo suspiro de alivio y
volvió a prestar su atención a las maniobras de su amigo.
«Treinta
segundos para la autodestrucción.»
«Estamos
fuera» exclamó Petri. «Ahora desvío la Theos.»
«¿Qué
puedo hacer para ayudarte?»
«Nada,
no te preocupes. Estás en buenas manos» y le guiñó el ojo derecho, así como le
habían enseñado a hacer sus amigos terrestres. «Pondré la nave detrás de la
luna. Desde allí no podrá hacer daño.»
«¡Maldita
sea!» exclamó Azakis. «No lo había pensado.»
«Por
eso estoy aquí, ¿no?»
«La
onda expansiva se romperá sobre el satélite, el cual asorberá toda la energía.
Eres un fenómeno, amigo mío»
«Y
no producirá ningún daño en la luna» continuó Petri. «Allí no hay nada más que
rocas y cráteres.»
«Diez
segundos para la autodestrucción.»
«Estoy
a punto...» dijo Petri con un hilo de voz.
«Tres...
Dos... Uno.»
«¡Hecho!
La Theos
está en posición.»
Justo
en ese momento, en la cara oculta de la luna, en las coordenadas, en grados
decimales, 24,446471 de latitud y 152,171308 de longitud, en el mismo lugar de
aquello que los terrestres habían llamado el cráter Komarov, tuvo lugar un
extraño movimiento telúrico. Sobre la superficie árida y accidentada del
cráter, como si una enorme hoja de espada, invisible se hubiese clavado
repentinamente, se abrió una gruesa y profunda hendidura de márgenes perfectos.
Inmediatamente después, como si hubiese sido disparado desde el fondo del
cráter, un extraño objeto de forma ovalada saltó hacia afuera a una velocidad
increíble y se dirigió hacia el espacio, con una trayectoria aproximada de
treinta grados de inclinación respecto a la perpendicular. El objeto permaneció
visible solo unos pocos segundos antes de desaparecer definitivamente en un
fogonazo de luz azulada.
Sobre
la nave espacial, desde la apertura elíptica que permitía la visión del
exterior, un resplandor cegador iluminó el negro y frío espacio exterior,
inundando el interior de la nave con una luz casi irreal.
«Amigo
mío, ¿qué te parece si nos vamos de aquí?» sugirió Azakis preocupadísimo,
mientras observaba la ola de energía que se expandía y acercaba rápidamente
hacia su posición.
«¡Seguidme!»
gritó Petri en el comunicador dirigiéndose a los pilotos de las otras naves
espaciales. A continuación, sin añadir nada más, maniobró con su propio medio
de transporte y lo puso a cubierto rápidamente detrás de la cara de la luna que
siempre mira hacia la tierra. «Agárrate con fuerza» añadió, mientras se
aferraba firmemente a los apoyabrazos de la butaca del puente de mando sobre la
que estaba sentado.
Esperaron,
en silencio absoluto, el paso de interminables segundos, con la mirada fija en
la pantalla central, esperando que el desplazamiento repentino de la Theos hubiese
conseguido evitar una catástrofe sobre la tierra.
«La
onda de energía se está dispersando en el espacio» dijo tranquilamente Petri.
Hizo una breve pausa, a continuación, después de haber verificado toda una
serie de incomprensibles mensajes aparecidos en los hologramas que estaban
enfrente de él, añadió «La luna ha absorbido perfectamente la parte que iba
directamente hacia el planeta.»
«Beh,
creo que has hecho un buen trabajo, amigo mío» comentó Azakis después de haber
vuelto a respirar.
«La
única que ha salido perdiendo ha sido la pobre luna. Ha recibido un buen
golpe.»
«Piensa
en lo que podría haber ocurrido si la onda hubiese llegado a la tierra.»
«Habría
quemado medio planeta»
«¿Estáis
todos bien?» se apresuró a preguntar Azakis, mediante el comunicador, a los
otros pilotos que, siguiendo las maniobras de Petri, habían puesto también las
propias naves espaciales al amparo del satélite. Respuestas reconfortantes
llegaron una tras otra y, después de que el último comandante hubiese
confirmado tanto las perfectas condiciones de la tripulación como de la nave,
se dejó caer sobre el respaldo de la butaca y dejó escapar todo el aire que
tenía en los pulmones.
«Todo
ha salido bien» comentó Petri satisfecho.
«Sí,
pero ¿ahora qué hacemos? La Theos
ha dejado de existir. ¿Cómo volvemos a casa?»
Ir a TRADUCCIONES
Sono laureata in Sociologia, ho imparato italiano nella Scuole di Lingue a Corugna, mi piace leggere, scrivere e tradurre in tutte e tre lingue che conosco: galiziano, italiano e spagnolo. Adoro lavorare con il computer e posso rimanere ore avanti a esso.
jueves, 29 de noviembre de 2018
Atropos: El caso de los crisantemos de Federico Betti - Primer capítulo
El hombre descendió del autobús 19 en la plaza
Bracci, en San Lazzaro di Savena, llegó hasta el quiosco, compró un ejemplar de
Il Resto del Carlno y comenzó a
hojear las páginas.
Se sentó en uno de los bancos que había en los
laterales de la plaza para leer el periódico y no encontró ninguna noticia
interesante: las primeras páginas estaban se ocupaban de los sucesos mientras
que en el interior estaban aquellas dedicadas a la economía, además de las
páginas locales con noticias relativas a la comarca boloñesa, a la ciudad y a
toda la provincia.
Echó una ojeada incluso a los anuncios
publicitarios sin encontrar ninguno interesante.
Dobló el periódico y, mientras lo mantenía debajo
del brazo, se dirigió, desplazándose por la vía Emilia, en dirección a Ímola.
Llegó a la entrada del banco en el cruce con la vía
Jussi, unos cientos de metros más adelante, empujó la pesada puerta principal
de metal, después la segunda, y entró.
A aquella hora de la mañana había muy pocos
clientes y a los pocos minutos de llegar consiguió presentarse en la primera
ventanilla que quedó libre de las tres que estaban abiertas en ese momento.
“Buenos días”, lo saludó la empleada, “¿en qué
puedo ayudarle?”
“Querría hablar con el director, si no está
ocupado.”
“Como desee. ¿Tiene algún problema?” preguntó la
mujer de la que emanaba un perfume afrutado tan fuerte que resultaba
nauseabundo.
“No, no se preocupe. Pensaba solamente en la mejor
manera de invertir y querría hablar con él, o con ella en el caso de que sea
una mujer, para poder tomar una decisión.”
“Para estas cosas tiene a su disposición nuestros
asesores financieros. Creo que usted podría hablar tranquilamente con uno de
ellos: son todas personas muy capaces. A menos que usted desee expresamente
intercambiar unas palabras con el director o tenga motivos muy particulares
para hacerlo” explicó la mujer.
“Quiero hablar expresamente con el director.”
1
Aquel día, Davide Pagliarini volvía del gimnasio donde pasaba una o dos horas
todas las tardes de la semana, excluido el fin de semana.
Vivía solo, en un edificio de apartamentos de vía
Venecia en San Lazzaro de Savena.
Había tomado aquella decisión después de un año de
noviazgo y de convivencia con su compañera. De común acuerdo habían dicho basta, no habrían podido vivir juntos
para siempre porque, contrariamente a lo que habían pensado al comienzo,
parecía que no estaban hechos el uno para el otro.
Ritmos de vida y puntos de vista demasiado
diferentes con respecto a como se desenvolvía la jornada y el uso de los
recursos monetarios.
Finalmente habían acertado al separarse y que cada
uno recorriese su propio camino.
Llegó delante del portalón del edificio, subió las
escaleras y entró en casa.
Su apartamento estaba en el primer piso de un
edificio no demasiado alto e inmerso en medio del verdor de un jardín privado
con plantas y árboles de distintas especies y un seto que delimitaba la
propiedad.
Tenía al menos tres ventajas: la sombra que
producían los árboles, que significaba un refugio a las altas temperaturas del
verano, un toque de señorío al edificio y el hecho de que difícilmente una
construcción con jardín en su interior atraía a los encargados de la
distribución de publicidad.
Apoyada en el suelo estaba la bolsa de deportes que
usaba en el gimnasio y que contenía, por lo general, una muda de ropa y todo lo
necesario para la ducha, la abrió, y la preparó para el día siguiente, después
decidió leer un poco.
Le gustaban las novelas de aventuras de autores
como Clive Cussler, aunque hasta hacía unos meses había incluso leído thriller y, en general,
historias repletas de suspense pero, después del accidente de tráfico en el que
se había visto envuelto, había decidido que estas las dejaría apartadas de
manera indefinida.
Había sido culpa suya, esto era innegable, y no
podía perdonárselo: aquel acontecimiento,
seguramente, había dejado una impronta en su cerebro.
Intentaba por todos los medios no pensar en ello, y
a menudo lo conseguía pero, cuando menos se lo esperaba, volvía a atenazarlo
aquel recuerdo.
Si tan sólo no hubiese tomado aquella pastilla…
Le había atraído la novedad. Le habían dicho “Verás
cómo te sentirás. Te hará llegar hasta las estrellas. Pruébala: te la puedo
dejar con descuento.”
Así que la había probado, diciéndose, sin embargo,
que no lo volvería a hacer jamás. Era sólo por curiosidad, por comprender qué
se sentía con aquellas cosas.
Recién salido de la discoteca, donde iba de vez en
cuando para pasar un sábado distinto del habitual y con la esperanza de
encontrar quizás personas nuevas, que habrían podido convertirse en amigos, o
incluso una posible alma gemela, si bien sabía que sería necesario demasiado
tiempo para instaurar una relación de ese tipo, había montado en su coche y se
había preparado para regresar a casa.
Desde de la ingesta de aquella pastilla efervescente
(bebe algo, le habían aconsejado) había transcurrido al menos una hora y,
cuando Davide estaba sobre la carretera de circunvalación de Bolonia en
dirección hacia casa, comenzó a entusiasmarse, a sentirse eufórico. Pisó a
fondo el pedal del acelerador porque sentía la necesidad de descargar todo el
entusiasmo de alguna manera y el resultado fue el esperado, pero no había
considerado la posibilidad de imprevistos debido a una excesiva velocidad.
Se dio cuenta demasiado tarde del muchachito que
estaba atravesando la carretera, sobre el paso de cebra, y le dio de pleno
sobre el costado izquierdo tirándolo al suelo y llevándoselo por delante
durante un centenar de metros.
No se había dado cuenta que estaban presentes sus
padres y había huido sin pararse, con el cuerpo a tope de adrenalina.
Cada vez que recordaba aquel episodio, Davide
Pagliarini cerraba los ojos con la esperanza de expulsar aquellos recuerdos
insoportables y a menudo lo conseguía, pero no siempre.
Cuando se dio cuenta que era casi la hora de la
cena, cerró la novela que estaba leyendo en ese momento, volviéndola a poner
sobre la mesita del salón, y se preparó un plato de pasta.
La noche transcurrió tranquilamente y antes de la
medianoche estaba ya durmiendo.
Ir a TRADUCCIONES
Sono laureata in Sociologia, ho imparato italiano nella Scuole di Lingue a Corugna, mi piace leggere, scrivere e tradurre in tutte e tre lingue che conosco: galiziano, italiano e spagnolo. Adoro lavorare con il computer e posso rimanere ore avanti a esso.
Encuentro con Nibiru de Danilo Clementoni - Primer capítulo
Azakis y Petri, los dos simpáticos e inseparables
alienígenas protagonistas de esta aventura, han vuelto al planeta Tierra
después de un año (3.600 años terrestres). Su misión era recuperar una valiosa
carga que, a causa del mal funcionamiento de su sistema de transporte, se
habían visto obligados a abandonar rápidamente en su anterior visita. Esta vez,
en cambio, han encontrado una población terrestre muy distinta con respecto a
aquella que habían dejado. Usos, costumbres, cultura, tecnología, sistemas de
comunicación, armamento, todo era diferente con respecto
a lo que habían encontrado en la última visita.
A su llegado se tropezaron con una pareja de terrestres: la
doctora de arqueología Elisa Hunter y el coronel Jack Hudson, que los han
acogido con entusiasmo y, después de innumerables peripecias, los han ayudado a
finalizar su delicada misión.
Aquello que sin embargo los dos alienígenas no habrían
querido decir a sus nuevos amigos era que, su planeta natal Nibiru, se estaba
acercando velozmente y que, al cabo de siete días terrestres, chocaría con la órbita
de la Tierra. Según
el cálculo efectuado por los Ancianos, uno de sus
siete satélites rozaría el planeta provocando una serie de alteraciones climáticas
comparables a aquellas que, en la transición anterior, habían sido resumidos en
un único concepto: Diluvio Universal.
En la primera parte de la novela (El
retorno – Las aventuras de Azakis y Petri), los habíamos dejado a los
cuatro en el interior de su majestuosa astronave Theos
y
es desde este momento que retomamos la narración de
esta nueva y fantástica aventura.
Astronave Theos
En las últimas horas Elisa se había visto sobrepasada por
tal cantidad de información que ahora se sentía como una niña que se había
indigestado de cerezas. Aquellos dos extraños y simpáticos personajes,
aparecidos prácticamente de la nada, habían conseguido en poquísimo tiempo
darle la vuelta a muchas de las verdades históricas que ella y el resto del
género humano habían dado por descontadas. Hechos, descubrimientos científicos,
creencias, ritos, religiones e incluso la evolución del hombre estaban a punto
de ser puestos del revés. La noticia del descubrimiento de que seres
provenientes de otro planeta, desde el inicio de los tiempos, hubiesen
manipulado y guiado con habilidad el desarrollo de la humanidad, tendría sobre
todos un efecto parecido al de la revelación de
que la
Tierra no era plana sino redonda. Azakis y su querido amigo y
compañero de aventuras, Petri, permanecían inmóviles en el centro del puente de
mando mientras que, con la mirada, intentaban seguir los movimientos de Elisa
que, con las manos metidas en los bolsillos de los pantalones, daba vueltas por
la habitación, nerviosa, mientras balbucía palabras incomprensibles. Jack, por
el contrario, se había desplomado en una butaca y con las manos intentaba
mantener erguida la cabeza que parecía haberse vuelto muy pesada
improvisamente. Fue justo él quien,
después de unos minutos de interminable silencio, decidió
tomar las riendas de la situación. Se levantó de repente y, volviéndose hacia
los dos alienígenas, dijo con voz resuelta: «Si nos habéis elegido para este trabajo
tendréis vuestras motivos. Sólo puedo deciros que no os desilusionaremos.»
Después miró a Azakis a los ojos y preguntó con resolución:
«¿Podríais mostrarnos por medio de esa locura» e indicó con
la mano la imagen virtual de la
Tierra que todavía rotaba lentamente en el centro de la
habitación «una simulación del acercamiento de vuestro planeta?». «Ningún
problema», replicó al instante Azakis. Mediante su implante N^COM
recuperó
todos los cálculos hechos por los Ancianos e hizo que
apareciese la representación gráfica delante de ellos.
«Esto es Nibiru» dijo
indicando el planeta más grande. «Y estos son sus satélites de los que
estábamos hablando.»
Alrededor del majestuoso planeta, siete cuerpos celestes,
mucho más pequeños, giraban velozmente a distancias y velocidades diferentes
entre ellos. Azakis acercó el dedo índice hacia el que estaba orbitando más lejos
de todos y lo agrandó hasta hacerlo tan alto como él. Después dijo solemnemente,
«Señores, os presento a Kodon, el imponente amasijo rocoso que ha
decidido causar unos cuantos problemas a vuestro amado planeta.»
«¿Cómo es de grande?» preguntó Elisa, mientras observaba
curiosa aquel grumoso globo gris oscuro.
«Digamos que, por lo que respecta a su dimensión, es
ligeramente más pequeño que vuestra Luna pero casi duplica su masa.» Azakis
hizo un gesto rápido con la mano y enfrente de ellos apareció todo el sistema solar
con los planetas que se movían lentamente en sus respectivas órbitas. Cada una
de las trayectorias estaba representada por finas líneas de distintos colores.
«Esta» continuó Azakis, indicando una marca rojo oscura «es
la trayectoria que Nibiru seguirá durante la fase de aproximación
al Sol.» A continuación aceleró el movimiento del planeta hasta acercarlo a la Tierra y añadió «Y este es
el punto donde las órbitas de los dos planetas se cruzarán.»
Los dos terrestres seguían maravillados, pero con mucha
atención, la explicación que Azakis les estaba dando sobre el incidente que,
dentro de pocos días, pondría sus vidas patas arriba y también la de todos los habitantes
del planeta.
«¿A qué distancia pasará Nibiru de
nosotros?» preguntó con tranquilidad
el coronel.
«Como estaba diciendo», respondió Azakis «Nibiru
no
os molestará mucho. Será Kodon el que rozará la Tierra y creará unos
cuantos problemas.»
Acercó todavía más la imagen y mostró la simulación del
satélite en el momento en que llegaría al punto más cercano de la órbita terrestre.
«Este será el momento de máxima atracción gravitacional
entre los dos cuerpos celestes. Kodon pasará a
sólo 200.000
kilómetros de vuestro planeta.»
«¡Porras!» exclamó Elisa. «Una tontería de nada»
«La última vez» contestó Azakis «hace exactamente dos ciclos,
pasó aproximadamente a 500.000 kilómetros y todos sabemos la que
montó»
«Sí, el famoso Diluvio Universal»
Jack estaba de pie con las manos cruzadas detrás de la
espalda mientras se movía arriba y abajo sobre la punta de los pies y luego
sobre los talones columpiándose de esta manera hacia delante y hacia atrás. De repente,
con un tono muy serio, rompió el silencio diciendo «No soy seguramente un
experto en la materia pero temo que ninguna tecnología terrestre sea capaz de
hacer nada para contrarrestar un acontecimiento de este tipo»
«Quizás podríamos lanzar contra él unos misiles con cabezas
nucleares» se arriesgó a decir Elisa.
«Eso sólo sucede en las películas de ciencia ficción» dijo
sonriente Jack. «Además, admitamos que conseguimos que lleguen a Kodon, nos arriesgamos
a fragmentar el satélite en miles de pedazos provocando de esta forma una
amenazante lluvia de meteoritos. Eso si que sería el fin de todo»
«Perdonad» dijo entonces Elisa volviéndose hacia los dos
alienígenas. «¿No habíais dicho antes que, a cambio de nuestro valiosísimo plástico,
nos ayudaríais a resolver esta absurda situación? Espero que tengáis una buena
idea para ayudarnos, sino estamos fritos»
Petri que, hasta este momento había permanecido callado en
un segundo plano sonrió levemente y caminó en dirección al escenario
tridimensional que se encontraba en mitad del puente de mando. Con un rápido movimiento
de la mano hizo aparecer una especie de rosquilla plateada. La tocó con el dedo
índice y la movió hasta colocarla exactamente entre la Tierra y Kodon, después
dijo «Esta podría ser la solución.»
Ir a TRADUCCIONES
Sono laureata in Sociologia, ho imparato italiano nella Scuole di Lingue a Corugna, mi piace leggere, scrivere e tradurre in tutte e tre lingue che conosco: galiziano, italiano e spagnolo. Adoro lavorare con il computer e posso rimanere ore avanti a esso.
miércoles, 28 de noviembre de 2018
Los Secretos de la Mente y el Cuerpo de Oreste Maria Petrillo y Gianluca Pistore - Primer capítulo
Recuerdo
perfectamente aquel lunes del mes de abril. Aquí en Río hacía calor, mucho
calor. Era el típico día de primavera en que las personas encontraban más
placer en tumbarse en la playa que en trabajar en una oficina con el aire
acondicionado. Y recuerdo también aquella llamada telefónica a mi cuartel general, en mi Cueva de los Guerreros, un lugar de
encuentro para todos los amantes del levantamiento de pesas, para todos los
apasionados del old style. “Buenos
días, ¿hablo con Himenes, George Himenes? ¿El propietario del gimnasio Muscle and Mind”? dijo una voz débil
desde el otro lado de la línea.
“Sí”
respondí inmediatamente. “¿Con quién tengo el placer de hablar?”
“Me
llamo Santana, Carlos Santana. Me urge hablar con usted. ¿Cuándo podría
encontrarme con usted?”
“Bueno,
si no tiene nada mejor que hacer puede venir ahora mismo. ¡Los guerreros del
hierro no descansamos jamás!” afirmé con vehemencia.
Fue
de esta manera que conocí a aquel extraño muchacho que provenía de las favelas.
Pesaba más o menos 60 kilos empapado de agua y con una altura de un metro y
ochenta y cinco.
Era
el clásico ectomorfo. Menudo, de esqueleto grácil y con una musculatura poco desarrollada. Tenía
hombros estrechos y un tórax largo y plano. Tanto su peso como su perímetro
torácico non concordaban con su estatura. Además eran casi tan largos sus
miembros superiores como los inferiores.
Parecía
estar desnutrido y atemorizado.
“Bien,
querido Carlos, ¿en qué te puedo ayudar?”
“Me
dijeron que usted hace milagros con las personas…”
Lo
paré enseguida. “Muchacho, cuidado con lo que dices. Los milagros los hace
Dios. Yo simplemente ayudo a que salga la mariposa de su capullo. Miguel Ángel
esculpía la piedra para realizar sus obras, pero las obras maestras estaban ya
en el interior de la piedra en bruto. Él sólo redondeaba los ángulos. Pues
bien, esto es lo que hago yo”
El
muchacho, titubeante, me miró con los ojos muy abiertos y añadió. “¡No me
importa! Tengo que ganar el Campeonato Internacional de las Dos Américas”.
“Tranquilo,
chaval, poco a poco. Ya te he dicho que no hago milagros, ¿tú quieres ganar el
campeonato más importante de halterofilia americana en menos de un año y
partiendo de cero?” ¡Que tipo más simpático! Quizás no se había mirado nunca en
un espejo, yo ni siquiera le hubiera dado permiso para inscribirse en ell
torneo de halterofilia del barrio.
“Usted
no lo entiende. Necesito hacerlo. ¿Me quiere ayudar o no?” se apresuró a decir
con una rabia en su mirada que yo no había visto jamás.
El
primer momento de confusión se desvaneció enseguida: “Muchacho, no lo
conseguirás, olvídate. Si quieres hacer deporte puedo ayudarte pero quítate de
la cabeza esas tonterías.”
Me
miró con los ojos llorosos: “¡Usted es un inepto! ¡No sabe nada sobre deportes!
Se limita a mirar como soy ahora, no consigue imaginarme más fuerte y tampoco a
ver, más allá de mi cuerpo, la rabia, la motivación y el dolor que hay dentro
de mí…” Hizo un amago de decir algo más, después se volvió y comenzó a caminar
con paso decidido hacia la salida.
Lo
llamé “¡Muchacho! Espera un poco… ¿cuál es esa gran motivación? Venga,
escuchemos… ¿Para qué te sirve ganar la más importante competición de
halterofilia americana, quieres, a lo mejor, demostrar algo a tu novia?”
“No
me importa ganar. ¡Necesito el premio de 80.000 dólares que está en juego para
sacar a mi hermano pequeño de las calles! Hemos nacido en una familia muy
pobre, como tantas otras de las favelas de Río. En nuestros barrios hay
incursiones de la policía, de los Batallones de la Muerte , casi todos los
días. Intento mantener a mi hermano apartado de la influencia de la banda, pero
es difícil. Nuestro padre murió durante una redada policial, muerto de un tiro
que iba dirigido a un narcotraficante que vivía a cincuenta metros de nosotros.
Después de su muerte nuestra madre cayó en un estado de depresión fortísimo y
no consigue sacar a flote a toda la familia. Nos ayudan los misioneros de San
Francisco pero eso no funciona. Intento sacar algún dinero extra trabajando con
un carpintero amigo de mi padre, ¡pero la paga no me permite ni siquiera
inscribirme en el gimnasio! Hace unos meses mi hermano ingresó en una banda de
traficantes, que está bajo el control de Ramires, uno de los mayores
traficantes de droga de nuestra favela y el más despiadado.” Mientras hablaba
los ojos comenzaron a iluminarse, a convertirse en transparentes, y yo entendí
lo que sentía su corazón. Era la encarnación de una triste historia como muchas
otras. Los puños cada vez más apretados
sobre sus piernas. “Yo intento explicarle que si continúa así sólo conseguirá
malograrse y perjudicarnos a nosotros que le queremos bien, pero él ignora mis
sugerencias. Intenté hablar con algunos de su banda, primero me advirtieron
diciéndome que no metiese las narices ¡y después una nariz rota! ” cerró los
ojos al recordar las desagradables experiencias. “Quiero ganar por él y por
nuestra madre… ¡Quiero llevarlos lejos de aquí! Usted es el único que puede
ayudarme a alcanzar este objetivo y el único que no se ha dejado avasallar y al
que los narcos respetan.”
Parecía
distinto de los matones habituales que venían al gimnasio. “Muchacho, la vida
no es fácil para nadie. Deberías saber que si te entreno acabarás escupiendo
sangre. Serán los diez meses más duros de tu vida. Tu madre te ha dado la vida,
yo te la reprogramaré. Transformo mocosos en auténticos hombres, sin tener en
cuenta la edad. Te convertirás en un hombre, pero antes deberás volver a ser un
niño, a llorar, a suplicar piedad y nadie te ayudará. Estarás luchando contigo
mismo antes de poder combatir contra el mundo. No habrá nadie que te ayude a
levantarte. Deberás hacerlo tú mismo. Deberás rehacerte y aprender a
levantarte. Te enseñaré que no te debes rendir nunca ante la vida. No debes
nunca bajar la guardia, no rendirte jamás, no lamentarte nunca. ¿has comprendido,
chaval? ¿Serás capaz de resistir todo esto?”
“¡Empecemos!”
respondió titubeante Carlos.
“Perfecto,
ven mañana por la mañana muy temprano, antes de ir al trabajo, aquí en mi
gimnasio hablaremos sobre el modo de proceder. Es todo por ahora”
Antes
de que saliese del gimnasio le hice pararse. “Dentro de una semana conocerás a
una persona especial que te podrá ser de gran ayuda. Es un entrenador de la
mente”
“¿Un
loquero?” añadió enseguida Carlos con aire despreciativo.
“No,
peor. Ahora vete a casa y descansa. Nos vemos mañana”
Lo
vi desde los ventanales del gimnasio salir con la espalda curvada, parecía que
no tuviese pecho. La cabeza baja. “Habrá que trabajar duro” pensé. El primero
que debería creer que sería capaz de alcanzar su objetivo tenía que ser él.
Ir a TRADUCCIONES
Sono laureata in Sociologia, ho imparato italiano nella Scuole di Lingue a Corugna, mi piace leggere, scrivere e tradurre in tutte e tre lingue che conosco: galiziano, italiano e spagnolo. Adoro lavorare con il computer e posso rimanere ore avanti a esso.
Suscribirse a:
Entradas (Atom)