martes, 12 de diciembre de 2023

TRAPPOLA MORALE di Roberta Bobbi - RECENSIONE

 
Loredana è una cartomante online cinquantenne, Elena fa la sorvegliante in un supermercato, di sera, prima era un poliziotto; Monica, è una ragazza di una famiglia benestante, che sparisce dopo essere stata coinvolta in un incidente stradale. 
Trappola morale racconta la storia di queste tre donne. Ognuna con un origine diverso che hanno dovuto cambiare vita e non sono affatto contente. 
Tutte e tre lottano per dare un giro a una maniera di vivere che le porta alla disperazione, la volgarità, la malattia. Nel loro percorso trovano delle persone che le vogliono aiutare, una donna e due uomini, ma…
Qui mi fermo, non voglio scrivere di più. E questo MA quello che fa che il libro di Roberta Bobbi diventi credibile, quasi come si raccontasse tre storie di vita reali. Può darsi che il lettore si riconosca nei personaggi che Roberta Bobbi descrive in maniera certosina oppure che veda, sia in Loredana sia nelle altre due donne, un’amica, una zia, una conoscente perché, anche se a volte il libro può strappare un sorriso, è della vita di quello che si parla. 
E anche delle opportunità che la vita offre e di saperne approfitare per andare avanti senza paura. Ma non tutti riescono a capire come si fa, come uscire del cerchio viziato che, una volta e un’altra volta, impedisce che le persone possano liberarsi delle sue paure e della comodità di una vita che non è facile. Quando ci abituiamo a una maniera de vedere la vita e anche sapiamo che essa è la maniera sbagliata di agire, uscire di questo cerchio viziato risulta stancante, anche se sapiamo che dobbiamo farlo, ma non ci riusciamo. 
Trappola morale è un libro realistico e surrealistico allo stesso tempo. Succedono delle cose banali ma anche straordinarie, che sono proprio le opportunità che hanno le protagoniste per prendere le distanze dalla sua banalità e diventare un’altra persona. Ma queste donne hanno un carico sulle loro spalle che non lascia che possano svolgere la loro potenzialità, un carico molto pesante, come un macigno sulla schiena che non lascia che gli occhi guardino a un altro posto che non sia verso il basso. 
Roberta Bobbi ha scritto un libro bellissimo, sì, ma anche divertente, ironico, un po’ amaro a volte; un libro che forse, all’inizio dà un po’ di pigrizia leggerlo però, man mano che si svoltano le pagine si gode come se fosse un gustoso gelato: prima, si dubita se prenderlo oppure no, poi si assaggia un po’, e ancora un po’ e poi si mangia in fretta e si gode del retrogusto che lascia nella bocca.

Vedere su Amazon

miércoles, 29 de noviembre de 2023

ANIME IMMONDE di Giuseppe Vivona - RECENSIONE

 
Fare una recensione non è mai facile. Neanche scrivere una su questo libro di Giuseppe Vivona. Ammetto che mi piacciono i libri da 200 pagine in su. Sarà perché io non riesco di solito a scrivere un libro di meno 200 pagine? Forse. Esprimersi senza utilizzare descrizioni puntigliose, senza fare una descrizione dei personaggi con ogni particolare, non è affatto facile. Ma Giuseppe ci riesce. 
Dal primo momento in cui ho cominciato con la lettura di Anime Immode ho cominciato a ridere. Vuoi dire questo che il libro di Giuseppe è un romanzo comico, allo stile di quelli di Woodehouse? No, assolutamente. Ma io ho riso un sacco con il personaggio di Alessio dal primo istante in cui ho conosciuto il suo mestiere: informatore scientifico. 
Da allora in poi è stata una vera pazzia, un susseguirsi di parole, parolacce e cambio di atteggiamento di un uomo che ha perso la pazienza. Ho ricordato quel film con Michael Douglas. Questa è stata la prima immagine che mi è venuta in mente. 
Mentre leggevo mi ho chiesto la ragione del titolo del libro. Ammetto di aver letto la quarta di copertina ed ero curiosa di arrivare al momento in cui i demoni appaiono nel romanzo. Quello che ho visualizzato sono stati piccoli nanni brutti, anzi, bruttissimi. Giuseppe Vivona ha scritto un libro tra l’orrore, la quarta dimensione, i multi universi, e le sette sataniche. E l’ha fatto in maniera egregia, la colpa è soltanto mia se non sono riuscita a sentire questa paura che doveva trasmettere e che, sicuramente, è riuscito a farlo con altre persone che hanno letto il suo libro. Di fatto, ci sono tutti gli ingredienti di un bel romanzo d’orrore, di terrore. Sono io che ho fallito. Ma non ti preoccupare, Giuseppe Vivona, il tuo romanzo ne vale la pena. 
Il personaggio di Noemi/Elena, il più complesso dei tre protagoniste di Anime Immonde, è quello della femme fatale dei vecchi film in bianco e nero. Tutto il romanzo mi rimanda vecchi film già visti, ma questo non vuol dire che la maniera in cui Giuseppe Vivona scrive il libro sia banale, vuoi dire che ogni scrittore, e anche ogni lettore, ha le sue scelte, prodotte dalla sua educazione, a cui non puoi fare a meno. 
Succede anche con il personaggio del commissario Marrone, una specie di Marlowe all’italiana. 
E non dico più. Il libro mi è piaciuto, la maniera di scrivere di Giuseppe Vivona è scorrevole, il vocabolario si capisce benissimo anche per una persona come me che non sono madrelingua italiana. I legami che ci sono tra personaggi appaiono realistiche e l’argomento, man mano che si sviluppa, cattura al lettore che si mette in ansia cercando di sapere come finisce il libro. Complimenti Giuseppe Vivona!

martes, 28 de noviembre de 2023

SIAMO COME LE LUMACHE di Laura Moreni - RECENSIONE

Mia madre è rovinata giù dalle scale un sabato notte, fratturandosi la gamba destra in diversi punti

Così comincia il libro di Laura Moreni. Quindi, si può pensare che la storia si svolgerà intorno a questo fatto; che il libro racconti il rapporto tra la mamma malata e la donna protagonista. 
A questo punto mi sono chiesta: Un altro libro con l’argomento della donna forte che riesce ad andare avanti a dispetto della sua vita travagliata? Ed con questo piccolo pregiudizio ho cominciato a leggere la storia di Tilda.
Forse se non avessi dovuto fare questa recensione non avrei letto il libro. E sarebbe stato un grossissimo errore da parte mia. Perché ho continuato a leggere, a conoscere ben bene la storia di vita di questa professoressa e dei suoi amici Dodi, Gubo e Anita; dei rapporti di amicizia che si tramontano all’infanzia, e anche dei loro genitori e dei loro fratelli. Ho capito che il libro prendeva un’altra piega, che mi ero sbagliata. E come! 
La storia era più complessa di quanto mi aspetavo. 
Siamo come le lumache parla di persone reali, con i loro pregi e difetti, che cercano vivere una vita serena e che non riescono a farlo. I rapporti tra i personaggi, e ringrazio a Laura Moreni la sua chiarezza descrivendoli, non sono affatto facili. Mi ricordo che, a un certo punto della lettura, ho pensato, Tilda, sei veramente una cretina, come puoi dare retta a un uomo come Dodi, sei impazzita? Mandalo a quel paese! 
Perché, a dire il vero, questo l’ho fatto io un paio di volte. Come si dice: faccio tabula rasa e comincio un’altra volta. 
Giusto in questo momento ho visto che il libro non era così facile da capire, che il via e vai di personaggi come Dodi e Gubo, avevano una precisa ragione e che doveva continuare a leggere per capire cosa voleva dire l’autrice. 
Un libro che avevo iniziato lentamente e poi l’ho divorato in un sabato pomeriggio fino a che i miei occhi non vedevano righe, se non caratteri che ballavano una polka. 
Quale è stato il personaggio che davvero mi ha colpito? Gubo, senza dubbio. Forse perché mi sarebbe piaciuto essere come lui, dall’inizio, una persona che ha preso la vita come era, dura o meno, e che ha saputo andare avanti con una serenità invidiabile. E poi la storia della mamma di Tilda, lei che separata dal marito è riuscita a farsi una vita nuova, tutta sua, senza alcun rimorso. Ho anche voluto bene a questo personaggio e gli altri che sono intorno suo. 
Man mano che si avanza nella lettura di Siamo come le lumache il lettore capisce molte cose, anche quelle che ha voluto tenere nascoste nella sua vita. È un libro che parla della consapevolezza che arriva con il tempo sulle cose che non capivamo quando eravamo tanto giovani, quando credevamo che eravamo invincibili, quando i nostro sentimenti facevano parte di una tragedia greco romana, per poi darci conta che la vita, finalmente, si chiude con un cerchio e che questo cerchio e i diversi passi che abbiamo fatto fino a completarlo avevano una ragione precisa. Non serve a niente il nostro stress, la voglia di fuggire molto lontano, alla fine dovremmo capire che siamo come le lumache, che anche se vogliono arrivare allo suo scopo ciò si trova vicino, molto vicino al punto di partenza, ed è giusto che sia così.

jueves, 19 de octubre de 2023

DIARIO DE UN PSICÓPATA de Stefano Vignaroli - Primeras páginas

Antes de entrar en casa, Eleonora, con el cigarrillo encendido en la boca, cogió la correspondencia del buzón. Era la primera hora de la tarde del 21 de diciembre de 2012, el aire era límpido, un gélido viento del noroeste había eliminado todas las nubes y el sol resplandecía aunque, a pesar de toda su fuerza de voluntad, no conseguía caldear la atmósfera como le hubiera gustado. ¿Alguien había dicho o escrito que ese día debía acabarse el mundo? Puf, Eleonora no parecía percibir en el ambiente extrañas señales de terremotos o inundaciones o de otras catástrofes naturales inminentes. Más bien era su corazón el que se había sumido en la oscuridad más absoluta desde hacía unos días, desde que su compañera Cecilia le había confesado que se había enamorado de un hombre y no quería saber nada más de ella. ¿Por qué? Se encontraban tan a gusto juntas, podían dar rienda suelta libremente a todos sus instintos sexuales y gozar plenamente del placer que cada una hacía sentir a la otra. Cecilia nunca sería feliz con un hombre como podría haberlo sido con ella. Definitivamente debía intentarlo otra vez para que su dulce compañera regresase con ella. Entró, puso en el suelo las bolsas de la compra, que había arramblado a la buena de Dios en el supermercado donde trabajaba como cajera, y apoyó las cartas sobre la mesa. Finalmente consiguió dar una calada al cigarrillo y apagarlo en el cenicero, justo a tiempo para evitar que un par de centímetros de ceniza cayesen al suelo reluciente. Entre todas las cartas, su mirada fue atraída por uno de aquellos sobres acolchados, de los que se usan para enviar Cds o libros pequeños, para evitar que el contenido se pueda dañar antes de ser entregado. No tenía remitente. Con el corazón que se le salía del pecho abrió el sobre, esperando que fuese un mensaje de Cecilia. En el interior sólo había una cartulina cuadrada con un extraño dibujo. Círculos y arcos de círculo trenzados y entrecruzados entre ellos simulando un extraño efecto óptico de figura en tres dimensiones. Los ojos de Eleonora miraron fijamente la imagen que, aparentemente, comenzó a girar, cada vez más rápidamente, como un molinete que quisiese atraer todo hacia su centro. La mujer perdió la noción de la realidad y empezó a ver algunas letras salir desde el centro de la figura, para dirigirse hacia su mente y quedar fijadas en un remoto ángulo de su cerebro como clavos incrustados en la pared a fuerza de martillazos. El conjunto de las letras, en un cierto momento, formó una frase: MATA Y MÁTATE. TU ARMA ES EL FUEGO. 
La imagen, poco a poco, dejó de dar vueltas y Eleonora volvió a ser consciente del ambiente que la rodeaba, pero no de sus acciones, que ahora eran dictadas por aquella frase impresa en su subconsciente. 
Cogió el teléfono móvil y llamó a Cecilia. 
Necesito hablarte. Tranquila, será la última vez, luego serás libre de marcharte con tu hombre. Dentro de dos horas delante de las instalaciones deportivas, te espero dentro de mi coche. 
Colgó sin darle tiempo a responder, sabía que la amiga se presentaría a la cita. Se preparó cuidadosamente, escogiendo ropa elegante e inundándose de desodorante. Puso atención en el arreglo del cabello y roció laca en abundancia para mantener el peinado. Se puso sus pendientes y sus piercing y, finalmente, dedicó tiempo a maquillarse: base, maquillaje, lápiz de labios. Finalmente se miró en el espejo juzgando el resultado más que satisfactorio. No pudo evitar, mientras miraba su imagen reflejada, llevar una mano al bajo viente, acariciar su monte de Venus y sentir un pequeño escalofrío. 
A partir de entonces supo exactamente lo que debía hacer. Antes de llegar al lugar de la cita se pasó por el estanco y compró un paquete de cigarrillos y algunas bombonas de gas para mecheros. La muerte llegaría enseguida después del último e intenso acto de placer.

Ver en Amazon

lunes, 2 de octubre de 2023

ODIO MEDITERRANEO di Marco de Luca - RECENSIONE

A volte un titolo è un ottimo riassunto di un libro; a volte non si capisci bene cosa voglia dire l’autore. Ciò non vuol dire che il titolo sia sbagliato bensì che è stato scelto con tanta cura che deve attirare l’attenzione del lettore affinché si impegni nella lettura del romanzo. 
Proprio questo è successo con Odio Mediterraneo di Marco De Luca. 
All’inizio, prima di cominciare la lettura, pensavo che fosse un libro pieno di scene crudeli, viscere ovunque e via dicendo. 
Non ne avevo la più pallida idea dell’argomento. 
Ho preso però il libro con curiosa perché il romanzo storico mi piace da morire, sia che abbia un mistero da scoprire o che racconti di battaglie, sia che racconti la vita di un personaggio, conosciuto o meno, e via dicendo. 
Così ho cominciato a leggere Odio Mediterraneo

Il libro ha come sfondo storico la Venezia del XVI secolo, per l’esattezza si svolge nell’anno 1568, tre anni prima della Battaglia di Lepanto. 
Detto questo, andiamo al dunque. 
Il protagonista della storia si chiama Maffeo Raffaelli; abita a Venezia e fa il mercante. Lui però non è nato a Venezia ma in Dalmazia, che all’epoca era sotto il dominio della Repubblica di Venezia. 
La storia descrive diversi tipi di “odio” che predominano nel Mediterraneo e non solo: il primo “odio mediterraneo” è la paura del diverso, di chi veneziano d’origine vede di cattivo occhio i forestieri, anche se questi sono arrivati quando avevano otto anni e adesso ne hanno più di cinquanta. 
Maffeo non è un rampollo di una casata nobile, è nato povero ed è riuscito a raggiungere la ricchezza con il suo lavoro di mercante. 
Questo determina il secondo “odio mediterraneo”: l’odio di chi crede di essere migliore degli altri giacché appartiene a famiglie antiche da secoli. 
Maffeo si sposa con una donna che appartiene a una di queste casate. 
Questo determinerà il terzo “odio mediterraneo”: quelli che credono che un uomo semplice non si debba mischiare con i nobili, che il sangue non va mischiato e che presto o tardi questo porterà alla rovina. 
Maffeo è un uomo che somiglia a quei cani che abbaiano ma non addentano mai. Può darsi che sgridi i suoi servi ma, più e mai più, metterebbe una mano addosso a loro. 
Questo è il quarto “odio mediterraneo”: quello che provano coloro che credono di essere al di sopra di tutti solo per nascita. 
Maffeo ha relazioni commerciali con tutti quanti abitano a Venezia, anche con gli ebrei del ghetto. 
Questo è ancora un “odio mediterraneo”: l’odio verso gli ebrei, chiusi nel Ghetto come pecore. Ma non solo. Anche verso i poveri che non hanno un altro posto dove possono abitare. 
Ma la storia continua e Maffeo, dopo una serie di sventure, perde tutto, diventando schiavo di un turco molto importante. 
Ecco il sesto “odio mediterraneo”: l’odio tra cristiani e musulmani, il seme forse della Battaglia di Lepanto. 
Purtroppo c’è un odio che non cambierà mai. Un odio che ancora possiamo sentire ogni giorno, veramente irragionevole, l’odio in maiuscolo: l’ODIO DI MASSA. E anche di questo parla Odio Mediterraneo di Marco de Luca. 
E poi, i personaggi, come sono i personaggi che popolano il libro di De Luca? Allo stesso ritmo che la storia si svolge e cresce fino ad arrivare al culmine del romanzo, così i personaggi di Marco de Luca crescono e vanno avanti nello svolgimento della loro personalità. Ognuno appare per quello che è, fragile a forte, senza maschere o trucchi. Sia Maffeo che Sofia (sua moglie), Maria (la loro servetta) oppure Bembo (il patrizio nemico di Maffeo) si rendono conto che le cose non sembrano quello che sono in realtà. 
Qualcosa sta cambiando, sia nella società del XVI secolo sia nelle persone che vivono in questa epoca, niente può rimanere fermo molto tempo e così deve essere. 
Lo stile dell’autore è semplice ma elegante; inserire ogni tanto parole in veneziano, anche in bocca dei patrizi, o in spagnolo, quando Maffeo visita un ebreo originario della Spagna, rende veritieri i personaggi. 
Come finire con questa recensione? 
Con uno dei paragrafi che mi è piaciuto di più, quando Maffeo ritorna a Venezia: 

Com’era bella la sua città. Nulla sembrava cambiato. Era lì tra le due colonne, che si svolgevano le migliori acrobazie durante il Carnevale, che il popolo assisteva all’amministrazione della giustizia, e che attraccavano i vascelli carichi di merci e denari. Era lì che sarebbe dovuto sbarcare, rientrato dalla spedizione

Tutto l’amore del protagonista per la sua città si esprime in maniera concisa in questo paragrafo che, letto ad alta voce, ha una musicalità speciale e riesce a far vedere al lettore scene tipiche in Piazza San Marco e anche a sentire la meraviglia che lo stesso Maffeo sente e che trasmette a chi legge il libro in maniera egregia. 
Odio Mediterraneo è un libro che si legge con curiosità, con molto piacere, in maniera scorrevole, che trasmette con sentimenti e piccole descrizioni, per niente prolisse, un’epoca così convulsa. Maffeo, anche un po’ rozzo, è un personaggio che sembra simpatico al lettore da subito. Si intuisce che non è un uomo cattivo, se lo sembra è dovuto all’epoca in cui vive e la città in cui abita. È un uomo del suo tempo, un uomo che deve indossare una maschera, altrimenti i lupi lo mangeranno, e, certamente, i lupi cercheranno di farlo. 
Ma quelli come Maffeo sono superstiti, mai vittime, e alla fine, ce la faranno nonostante tutto e tutti.

ECLISSI PERPETUA di Jessica Marchione - RECENSIONE

 
Il libro Eclissi Perpetua di Jessica Marchione è un romanzo fantasy. Sono sicura che se qualcuno legge questa prima frase non vorrà leggere un’altra cosa, eccetto le persone che godono con queste tipo di romanzi. Ma questo è un grande errore. Perché? Si dice che i romanzi fantasy sono stati scritti da persone che hanno un’immaginazione infantile per un’altra che hanno lo stesso tipo di mente. Quali sono le ragioni per pensare così? Vediamo:
― La lotta tra il Bene e il Male
― L’esistenza di personaggi bianchi oppure personaggi neri.
― L’uso di questi colori per simbolizzare questa lotta.
― Una trama, a volte, senza sbalzi nel tempo, lineare.
― Il finale scontato in cui il Bene prende il sopravento sul Male.
È vero. Queste sono le linee fondamentali del romanzo fantasy. Ma anche del romanzo noir, dei gialli, delle nouvelle, dei classici. Anallizzate bene quei libri che leggete, ho ragione. Può darsi che in alcuni libri ci siano dei personaggi grigi, che non appartengono al Bene totalmente ma neanche al Male. Ma questo si può vedere anche nei romanzi fantasy. Questo tipo di personaggi nel romanzo di Jessica Marchione vengono rappresentate, appunto, per le Ombre. Il suo colore è il grigio e non appartengono totalmente al mondo oscuro ma neanche al mondo della luce. Persone che sono diventate cattivi per forza ma che, comunque, hanno un anima che vuole ribellarsi, non fare del male, ma non ci riescono.
Scrivere un romanzo fantasy non è roba facile. Si deve immaginare un mondo da capo. Voglio dire:
― un mondo fisico dove si svolge l’azione: un pianeta, una nazione, la fauna e la flora;
― dei personaggi che siano credibile ma, allo stesso tempo, originali.
― le caratteristiche fisiche di questi personaggi.
― le relazioni tra loro.
La differenza principale tra un romanzo fantasy e gli altri tipi di romanzi è che nel fantasy si deve creare tutto da capo. È chiaro che la nostra cultura greco latina ci ha fornito delle leggende e miti che sono la base di qualsiasi romanzo fantasy. Ad esempio, il nome di Hyobe, pronunciato ad alta voce, non vi sembra molto simile a quello di Giove? Ma questo non vuole dire che il libro di Jessica Marchione non sia originale nel senso di dare una svolta ai miti da tutti conosciuti. Vuol dire che la tradizione ci ha fornito degli esempi che ha potuto usare per svolgere il suo libro e cercare di dare, allo stesso tempo, il punto di originalità che si cerca in qualsiasi libro di fantasy.
Ed è riuscita a farlo. Perché nel romanzo fantasy quello che importa non è se il Bene prenderà il sopravento sul Male, questo è scontato, bensì come lo farà, le trame secondarie.
Nessuno pensa che Tolkien abbia scritto un romanzo fantasy banale, tutti quanti adorano Tolkien, la storia dell’anello, Gondor, gli elfi e via dicendo. Ma, l’argomento è sempre lo stesso, sia Tolkien, il mito di Ulisse o di Dracula: la lotta tra il Bene e il Male. Punto.
In Eclissi Perpetua ci sono tutti gli elementi affinché gli amanti del fantasy, ma anche di quelli che non l’amano, possano godere per ore di piacente lettura. Perché ci sono fate, magia nera, magia bianca, eroi, draghi e unicorni. Personaggi conosciuti per tutti che ci mostreranno una maniera diversa di capire non solo il mondo creato da Jessica Marchione ma anche il nostro mondo, quello dove abitiamo. Perché nel fantasy c’è anche una lezione di vita ed è questo che si deve capire. Bravo Jessica!

jueves, 6 de julio de 2023

LIBERA: Il cielo fatto di mare e di lampare di Cinzia Passaro - RECENSIONE

Negli ultimi anni si sono scritti un sacco di libri con donne come protagoniste. Donne forti e intraprendenti che non vogliono essere al di sotto di nessuno. Donne che vogliono la riconoscenza delle loro anime, dei loro sentimenti. Ogni donna è diversa ed è il risultato della vita che ha vissuto. Ciò che spesso le accomuna è un forte senso di ribellione. 
Una ribellione che quasi sempre porta al cambiamento in ogni parte del mondo. Qualunque sia il posto di provenienza delle donne o qualunque sia la razza, la lotta è la stessa: essere libere e non avere padroni. 
La ribellione non è qualcosa che si presenta subito, la ribellione è nell’animo delle donne fin da piccole, tutte desiderano la libertà, la stessa che hanno già gli uomini ma che a loro molte volte viene negata. 
La storia scritta da Cinzia Passaro non è soltanto la storia di Elena, la madre di Libera, che sbaglia a sposare don Vito, credendolo diverso e scoprendo la sua vera natura già subito dopo il matrimonio. Neanche la storia di sua figlia Libera, costretta a sposare un uomo, Luigi, che non ama, che come suo padre è violento e crudele. 
Neanche la storia di amore vero tra Libera e Enea. 
È la storia dell’Italia e dei paesi nel resto del mondo del secolo scorso. 
Qualcosa sta per cambiare, nel dopoguerra le donne cominciano ad aprire le loro menti ad altri modi di pensare e di sentire. È il cambiamento si fa possibile. 

Tutti quanti argomenti importanti che riguardano le donne Cinzia Passaro li metti nel suo libro: 
- la violenza all’interno del matrimonio (il rapporto tra Elena e don Vito) 
- la violenza fisica e anche psichica (il rapporto tra Libera e Luigi) 
- l’infanticidio per onore (la storia di Anna) 
- l’ ipocrisia degli uomini, anche di quelli che dovevano avere una forte morale, ma non è così. 
- l’adulterio si vede da due punti di vista diversi, il delitto d’onore e il divorzio 
- il femminismo 
- le prime donne che si mettono a lavorare con donne maltrattate 
- l’immigrazione. 

Tutti questi argomenti appaiono nel libro Libera: il cielo fatto di mare e di lampare. Ma non solo, ci sono altri argomenti trattati: l’Italia del fascismo, l’ipocrisia politica, i partigiani, il dopoguerra con le sue vendette, i politici cambia pelle… 
E poi gli usi di un altro tempo come la vendemmia, la tonnara, i balli degli anni sessanta a casa, la gioventù che si ribella, il movimento studentesco, la legge sull’aborto e, quindi come le donne dovevano farlo in maniera clandestina e tanti, tanti argomenti importanti per lo sviluppo di un paese che voleva la libertà di agire. 
E poi c’è anche il Covid. Il romanzo comincia con Maria Libera che è già anziana, non può uscire da casa e vive con una donna del Senegal. Il lavoro d’introspezione che fa Libera porta a ricordare tutta la sua vita, inizia e finisce con il mondo ostaggio del Covid, e con un grido di speranza. 
Il romanzo di Cinzia Passaro è un testo potente, convincente nei suoi argomenti, facile da leggere per il tipo di linguaggio che utilizza, ma si deve fare con la dovuta calma affinché il cervello del lettore prenda l’abitudine di trovarsi quasi con un argomento diverso in ogni capitolo. 
Per me il libro di Cinzia Passaro e la sua protagonista, Maria Libera, ha un doppio valore: da una parte, fare ricordare alle donne nella maturità come è cambiato l’atteggiamento verso le donne nel tempo; da un’altra parte, può servire alle giovani donne del XXI secoli ad imparare che la lotta non è finita, che la donna non è al di sotto dell’uomo o di chiunque pensi di avere il diritto di umiliare, picchiare e altri atteggiamenti che vogliono la donna sottomessa. 
Perché è così importante questo libro e tutti i libri che parlano dei problemi delle donne del passato? Dal mio punto di vista: perché sembra che da qualche anno tutta la lotta delle donne degli anni sessanta, settanta e via dicendo, stiano andando a catafascio. E non si può permettere, si devono far leggere alle ragazzine questi libri perché in questo modo potranno capire e potranno lottare anche loro affinché, le condizioni delle donne, ovunque possano migliorare.


sábado, 1 de abril de 2023

A MOEDA DE WASHINGTON de María Acosta Díaz - Primeiras páxinas

Ariel Sánchez Castro estaba feliz tirando fotos nos Xardíns da Maestranza, dúas máis e recollería os trebellos, o trípode e maila cámara, para segui-lo seu percorrido pola Cidade Vella da Coruña. Xa estaba escurecendo e desexaba poder rematar con este carrete para proba-lo seguinte, moito máis sensible e axeitado para tirar fotos pola noite. As calellas e prazas da antiga cidade medieval tiñan unha luz moi especial pola noite e Ariel desexaba facerlles unha morea de fotos co novo carrete que collera da tenda onde estaba a traballar. Levaba alí dende os dezaoito, é dicir, case quince anos, e era amante da fotografía dende que lle agasallaran unha cámara de fotos ós quince. Nos momentos de lecer dedicábase a percorre-la cidade na procura dos mundos máxicos e marabillosos que se atopan dentro dela. Mundos que, se cadra, so vían el e seica algúns cativos, aínda que cos tempos que corren os raparigos están máis pendentes da play-station que de si detrás dunha árbore pode verse un anano ou unha fada. Pero Ariel era feliz imaxinando os xardíns da súa cidade cheos de seres máxicos, tanto bos como malvados, e as historias das que podían ser protagonistas. Nos Xardíns da Maestranza a xente estaba empezando a marchar e Ariel tirou a derradeira foto, desenrolou a cámara do trípode, recolleu este último trebello, meteunos en cadanseu funda, botouno ás súas costas e saíu pola porta máis próxima ó Xardín de San Carlos. Durante un intre quedou mirando a porta pechada deste pequeno parque, que tiña un balcón de pedra dende onde se podía facer unha bonita panorámica do Castelo de San Antón, os canóns da muralla e maila dársena. 
Ariel era un mozo de trinta e tres anos, alto, de pouco máis de 1,80, ben formado, pel morena e cabelo negro, cuns ollos grises, un pouco miope e presumido de máis para poñer gafas, que ás veces metía a zoca cando saudaba a alguén pola rúa ó confundir á persoa con algúns dos seus amigos ou amigas. Só levaba as gafas pola rúa cando estaba a fotografar algunha cousa porque doutro xeito non daba calculado ben a distancia e non distinguía ben o círculo do obxectivo da súa cámara réflex, polo cal a imaxe que vía semellaba partida se non estaba ben enfocado o obxecto que desexaba fotografar. En canto facía a foto, quitaba as gafas. Hai tempo tivo unhas lentes de contacto pero non se daba xeito con elas, sobre todo en verán cando ía á praia, non ía bañarse con elas postas, así que entón non as poñía. E ó saír da praia tampouco, iso significaría que tiña que leva-las lentes de contacto, o líquido para limpalas e o trebello onde se gardaban. Unha leria. 
Ariel, despois de quedar un intre pensativo diante da porta de acceso ó Xardín de San Carlos, tentando ordena-las súas ideas sobre cando podería volver por alí, colleu pola rúa que bordeaba o dito xardín e dirixiuse cara á Igrexa dos Dominicos. Sempre lle abraiara a súa torre e tamén os xardín que había próximo ó convento. Pero o que máis lle gustaba desa parte da Cidade Vella era a Praza das Bárbaras. Aquel recuncho era máxico e tiña unha luz pola noite moi especial. Alí descansaría un intre ós pes do cruceiro que había no centro da praza e quedaría un bo anaco mirando á entrada do convento construído, cría, alá polo século dezasete. Se cadra era máis antigo. Nesa praza, cando era o tempo da Feira Medieval que se celebraba tódolos veráns, facían demostracións de tiro con arco e outros oficios xa esquecidos. Hoxe, domingo, a praza estaba estrañamente solitaria, non había ninguén nela, so el. Ariel ergueuse, sacou o trípode da súa funda e colocouno xusto diante do cruceiro, enganchou a cámara e cambiou de obxectivo, poñendo no canto do de cincuenta milímetros un teleobxectivo. Sacou as gafas da mochila que sempre levaba ás costas, mirou polo visor, graduou a altura do trípode, e volveu mirar. Fixo a mesma operación un par de veces máis ata que quedou satisfeito. Entón tirou a foto. Despois mirou ó seu redor buscando outra foto. Ariel encadraba automaticamente; é dicir, cando saía coa cámara non vía edificios nin coches nin árbores nin paisaxes: vía fotos. E para el unha foto podía ser un edificio enteiro ou unha pedra cunha forma estraña ou estrafalaria, tamén unha folla dunha árbore ou un chamador dunha porta, mesmo unha tea de araña era unha foto. Xa sabía como ía queda-la foto antes de facela. Ás veces atinaba e outras non e tiña que volver probar facela de novo. Neste intre non se lle estaba a ocorrer nada. Non importaba a praza non ía marchar e, dende logo, non ía desaparecer como tantas outras cousas que si o fixeron por mor da cobiza dos promotores de casas e doutro tipo de construcións, como aquelas fermosas fontes que había na Praza de Galicia, fronte o Palacio de Xustiza, que as sacaron para face-lo aparcadoiro subterráneo e non se volveu saber nada delas. El tiña esas fontes nunha foto. Deulle a impresión de que non ían durar e tiroulles unha foto. Tiña razón. Seguro que levan anos nalgún chalé ou pazo pertencente a calquera das persoas que tiveron a boa idea de esnaquizar aquela praza para construír un aparcadoiro. 
Foi cara ó fondo da praza e meteuse por unha calella estreita, onde se atopaba a casa de María Pita. Ía mirando cara arriba, despreocupado, tentando adiviñar se pagaba a pena tirarlle unha foto a calquera das casas. De cando en vez miraba o chan, feito con grandes pedras, tentando non pisar calquera cousa indebida como un anaco de cristal ou cousas peores e, de súpeto, un brillo un metro máis alá de onde se atopaba chamou a súa atención. Colleu a cámara e púxose a camiñar cara ó brillo tentando enfoca-lo obxecto que o producía e quedou pampo cando descubriu que era unha moeda ou algo semellante. Ariel agachouse para observala mellor e decatouse que estaba esnaquizada en tres anacos. Colleuna. Volveu á Praza das Bárbaras e sentou de novo no cruceiro; logo sacou unha folla dun pequeno caderno que sempre levaba para apuntar o nome das fotos e as súas características técnicas, pousouno nun dos chanzos do cruceiro e enriba del os anacos daquilo que semellaba unha moeda ou unha medalla. Quedou dunha peza cando se decatou que o que se lle estaba a amosar era a faciana archicoñecida do que fora o primeiro presidente dos Estados Unidos de América: George Washington. Era unha moeda e brillaba tanto que semellaba que estivese recentemente acuñada. O que máis lle abraiaba a Ariel era a data que aparecía na moeda: 1776. Segundo lembraba ese foi o ano da Declaración de Independencia. Se cadra era unha moeda conmemorativa. Se cadra era auténtica. ¿Por que estaría partida en tres anacos? ¿Quen sería o dono? ¿Era realmente prata o metal do que estaba feita? ¿Como foi parar a esa calella? Non sabía case nada sobre a época da Independencia de Estados Unidos, o que a meirande parte da xente: que a Declaración de Independencia foi o catro de xullo de 1776 e que houbo algo referente a uns americanos disfrazados de indios que botaron o té que traía un barco ó mar. Pouco máis sabía.

Ver en Amazon

jueves, 30 de marzo de 2023

O ENIGMA DOS NOVE SEPULCROS de María Acosta Díaz - BOOKTRAILER

Esta é a historia dun rapaz que entra por un sumidoiro dunha calella da Cidade Vella da Coruña e accede a un mundo de fantasía, de seres imposible, míticos, cos que vivirá unha chea de aventuras na procura da solución do Enigma dos Nove Sepulcros. 
Unha historia onde o protagonista, Sen Nome, deberá pasara unha serie de probas, resolver adiviñas e demais se quere acada-lo seu obxectivo.
Ver en Amazon

lunes, 20 de marzo de 2023

NA PROCURA DE BALMUNG de María Acosta Díaz - BOOKTRAILER

 
Sofía, Luís, Tareixa, Carla e os seus amigos xa non son xente nova, casaron ou non, algúns teñen fillos, outros cambiaron totalmente a súa vida. Mesmo o seu inimigo cambiou. Aínda así veranse envoltos nunha aventura que mergulla as súas raíces na historia antiga de Coruña, co Convento dos Dominicos no mesmo centro dun misterio secular. ¿Onde se atopa Balmung, a mítica espada de Sigfrido? ¿É real o unha fermosa lenda?
Ver en Amazon

NA PROCURA DE BALMUNG de María Acosta Díaz - Primeiras páxinas


Prólogo Arredores da cidade de Coruña, ano 1337 da Era Hispánica 1 
O monxe percorrera un longo camiño dende o seu país natal e estaba moi canso. Durante unha chea de meses camiñara por vales e montes, atravesara cidades e aldeas e cruzara ríos en total soidade. Dende o alto daquel outeiro adiviñaba a pequena cidade que era o seu destino ó lonxe. Unha cidade preta do mar. Era un home alto e forte pero xa non era un mozo. Debería de estar polos corenta anos, pouco máis ou menos. A súa tonsura estaba rodeada por unha morea de cabelo gris e a súa cara estaba cuberta por unha longa e mesta barba da mesma cor. O único trazo salientable do seu rostro eran os seus ollos, dun azul escuro. Sentara enriba dunha rocha ó carón da porta do muíño e estaba a xantar un anaco de pan e un pouco de queixo que lle dera o amable muiñeiro. Tiña tamén unha xerra de fresca auga do río. Ós seus pés, un longo paquete formado cunha vella manta e rodeado de cordel agochaba as súas poucas pertenzas. O monxe mirou contra ó ceo, o sol estaba no máis alto, aínda lle quedaba unha longa camiñada ata chegar ó Convento dos Dominicos de Coruña, un edificio fundado apenas había uns setenta e cinco anos. Despois de remata-lo seu xantar e beber un grolo de auga o monxe ergueuse e achegouse ó muíño: 
Grazas pola túa amabilidade. dixo o home, cun forte acento estranxeiro, entrando no muíño. Que Deus te axude e te colme de bendicións. 
¿Non quere quedar un pouco máis? preguntou o muiñeiro sen deixar de traballar. 
Non podo, meu fillo, non podo. Pero agradézocho. respondeu o monxe erguendo a súa man dereita cos dedos índice e anular xuntos e facendo o sinal da bendición por todo o recinto e logo na cabeza do muiñeiro. Debo marchar. 
O muiñeiro, que tiña a cabeza agochada mentres o monxe falaba, fitouno e sorriu agradecido polo que o estranxeiro acababa de facer. O monxe tamén sorriu e de seguido saíu do muíño e comezou a baixa-la costa ata os prados que había cerca do mar. 

Dous horas despois desta conversa o monxe atopábase xa preto das murallas da cidade. Rodeounas e seguiu camiñando ata que viu o convento. Mirou o sol, que xa comezara a baixar no horizonte, axiña os monxes serían chamados á vésperas.2  
Antes de chamar á porta o monxe acariñou, case con amor, o fardo que levaba pendurado das costas, como se desexase comprobar que aínda o tiña alí e non desaparecera. Levaba tanto tempo con el, dende que saíra de Alemaña, que ás veces esquecíao. De seguido turrou da campá que tiña á dereita e agardou pacientemente. Non pasaran nin dez minutos cando a pequena abertura que había na porta, e que servía para indagar na identidade de quen chamaba antes de deixarlle franquea-la entrada, se abriu e dende o outro lado un freire moi novo, case un rapaz, segundo pensaba o monxe estranxeiro, fitouno sen dicir un chío. 
Son o irmán Tifer, e veño dende Alemaña. Desexo ver ó prior. 
A pequena apertura pechouse e Tifer quedou agardando. A porta non tardou en abrirse, e o mozo coas roupas de novicio fixo un xesto dándolle a entender o recentemente chegado que podía pasar. Tifer así o fixo, logo agardou a que o novicio pechara a porta. Sempre por medio de xestos o mozo foi guiando ó monxe ata a cela do prior. Petou na porta e agardou pacientemente a obte-lo permiso para entrar. 
Adiante. dixo unha voz dende detrás da porta. 
O novicio abriuna e botouse a un lado para deixar paso ó monxe estranxeiro. 
¡Irmán Tifer! ¡Agardábamos a túa chegada dende hai tanto...! dixo o prior, un home un anaco máis baixo que o seu hóspede e un pouco gordecho, tamén máis vello, achegándose e dándolle unha aperta. Podes marchar. Segue así, irmán, segue así. seguiu a falar fitando para o novicio que, despois de facer unha pequena inclinación de cabeza, saíu da cela e pechou tras el. É un bo rapaz, pero fala de máis, por iso debe pasar un tempo sen facelo para que aprecie o valor da palabra e o valor do silencio. Senta, irmán Tifer, senta, debes estar canso. ¿Traes novas dos nosos irmáns de Alemaña? ¿Están todos ben? ¡Estamos todos tan contentos de que por fin esteas con nós! 
O irmán Tifer, que sentara na cama do prior, pois a única cadeira que había estaba ocupada por este, fitaba para o seu vello amigo sorrindo. A pesar dos anos e do seu cargo conservara a súa alegría xuvenil. 

¿Hai moitos alumnos xa? 
Uns poucos. respondeu o prior fitando primeiro para Tifer e logo para o paquete que o monxe deixara ós seus pés. 
Quedará comigo. respondeu o monxe alemán. É o máis seguro. ¿Fixeches o que che pedín? 
Fíxeno. Ninguén máis o sabe. 
É mellor deste xeito. 
Seino. dixo o prior erguendo de seguido. Axiña seremos chamados á vésperas. Estou certo que desexarás ve-la túa cela e cambia-lo hábito. Acompañareite. 

Ámbolos dous amigos saíron da cela. Polo corredoiro os monxes ían camiñando a modo contra a capela do convento, xa por parellas, xa en soidade, pero todos, absolutamente todos, miraban con curiosidade ó freire recentemente chegado. Tifer e o prior apresuraron o paso. Pouco antes das seis da tarde entraban na capela, xa chea de monxes, para comeza-las vésperas. Tifer mesturouse co resto dos monxes. Conseguira acada-lo seu destino sen problemas, o que non significaba que estivera fóra de perigo. O obxecto que trouxera dende Alemaña non sufrira dano ningún, agora só había que procurar que non caese nas mans inadecuadas, aínda non chegara o momento en que os homes soubesen aprecialo. Era un obxecto demasiado poderoso, non podía caer nas mans de calquera. Ninguén posuía as calidades axeitadas para posuílo, non nestes tempos, se cadra nun tempo futuro, pero non agora. Os monxes que tiña ó seu redor semellaban ignoralo, pero o alemán sabía que morrían coa curiosidade. Cando estivesen todos reunidos no refectorio para a cea, só entón o prior falaríalles del e diríalles que era un dos novos profesores, pois non había moito anos que no convento instalárase unha casa de estudios. Isto era unha verdade a medias e a razón exacta da súa chegada ó convento só era coñecida polo seu amigo. E así debería seguir sendo.

1 1299 da Era Cristiana

2 Trala posta de sol, sobre as seis da tarde.

Ir a MIS LIBROS

Ver en Amazon

viernes, 17 de marzo de 2023

LA CONDESA DE CAGLIOSTRO (serie Arsenio Lupin) de Maurice Leblanc - RESEÑA

 
Afortunadamente no me costó mucho dinero este libro ya que lo compré en una librería de segunda mano. Me ha decepcionado muchísimo. Creo que es la primera reseña negativa que hago en toda mi vida. Siempre encuentro algo bueno en los libros, si no es la forma de escribir es el argumento, sino es éste entonces hay otra cosa, por ejemplo la naturalidad, una escritura correcta, unos diálogos bien construidos. No me acuerdo quien decía que todo libro, por muy malo que sea, nos enseña algo. Tenía razón. "La condesa de Cagliostro" de la serie de libros que tienen por protagonista a Arsenio Lupin, del escritor francés Maurice Leblanc nos enseña cómo no escribir un libro: 
-intentos frustrados por describir el enamoramiento del joven Lupin por la condesa 
-argumento manido (una serie de personas compiten por un candelabro de siete brazos) escrito sin pasión, sólo para llenar páginas y ponerlo a la venta. 
Me queda la duda de si la traducción está mal hecha o el original ya había sido escrito de esta manera, sin ganas, un mero producto de consumo para las masas. 
El apellido de un mismo personaje cambia en una letra, y no diez páginas más adelante, sino en la misma página, lo que significa que la labor de corrección del borrador no se hizo de manera adecuada. En todos los libros, por mucho que se corrijan, siempre aparecen algunas erratas, pero aquí no se entiende, o tal vez sí: la traducción es del año 1973 y esta edición es del año 2005. Quizás no consideraron que se debía corregir, pero deberían haberlo hecho. 
Nada más con esto acabo la reseña de un libro que me ha decepcionado hasta el punto de no querer leer ninguno más de este autor.


jueves, 16 de marzo de 2023

L'ULTIMA BLACK SKY di Antonella Chiego - RECENSIONE

 
Jennifer è una ragazza ombrosa, sempre indossa abiti di colore nero, sempre solitaria; ha un’unica amica, Sally. La sua vita trascorre senza emozioni fino a che il laboratorio di chimica della sua scuola si incendia.
Questo fatto scatena un ricordo doloroso: la morte del suo padre anche in un altro incendio e il ricovero della sua mamma nell’ospedale. È da questo momento che Jennifer si ribella.

Aveva fatto un piercing al naso, tinto di nero i miei biondi capelli, e aveva concesso a un mio amico di tatuarmi sul collo le ali nere di un angelo (…). Avevo rifatto il mio guardaroba con vestiti, T-Shirt, pantaloni, giacche… tutto, tutto di colore nero (pag. 19).

Del resto la sua vita trascorre tra il Liceo e la casa della nonna, con cui vive. Il tatuaggio è stato un’idea del suo amico James, un compagno del laboratorio di chimica. 
Così comincia “L’ultima Black Sky” di Antonella Chiego, con la descrizione della vita di una ragazza, dei suoi problemi, sogni e speranze. Non sembra un granché, veramente. Ma questa vita così anodina sarà messa a catafascio il giorno che Jennifer va da sua madre e la vede in quella stanza quasi buia dell’ospedale.

Le persiane non lasciavano passare molta luce ma riesco a scorgere le pareti bianche imbranttate (pag. 43).

Giusto in questo punto, in questo preciso istante, qualcosa attira l’attenzione di Jeniffer, una frase sulla parete:

Sorge il sole e cala l’oscurità (pag. 44)

Sebbene il ritmo della storia fino qui sia un po’ lento si può dire che è corretto che sia in questo modo. Perché poi, quando tutto comincia a svelarsi, quando Jennifer comincia a scoprire la sua vera natura e quella delle persone intorno a lei (James, Cam, Sally, i suoi genitori, la nonna), allora tutto andrà a catafascio.
Tutto qua per quanto riguarda l’argomento del libro. 
Come tutti i libri che sono state scritti con il cuore e l’anima, “L’ultima Black Sky” ha una doppia lettura: quella superficiale e un’altra più profonda. 
La lettura superficiale ci parla delle avventure di una ragazza dal momento in cui un fatto insolito succede nella sua vita, di quello che deve fare per capirlo e delle sue relazioni con gli altri personaggi che ci sono intorno e come questa ragazza agisce nel momento in cui si mette in difficoltà, sia da sola oppure per via di un altro personaggio. 
La lettura più approfondita ci parla del percorso vitale di una persona che deve confrontarsi con sé stessa per crescere fisica e mentalmente, una storia che parla del passo della giovinezza al mondo degli adulti e delle difficoltà che si incontreranno sul cammino. Perché niente è come sembra, la natura, sia qualsiasi sia, è un essere cambiante, non rimane nelle quiete, si svolge, muta, varia, per fuori e all’interno. 
Come dice Antonella Chiego, per dire meglio, la protagonista del libro, Jennifer,

C’è una linea sottile tra la realtà e i sogni. Talvolta si vive sognando, altre si sogna di vivere una vita che non abbiamo (pag. 63)

Anche se all’inizio il ritmo del libro è un po’ lento, credo di averlo detto sopra, man mano che si continua con la lettura, quella storia semplice della ragazza con i suoi problemi di ragazza minorenne, si accumulano e si fanno più complessi fino alla fine del libro con un’apoteosi inaspettata. Il libro di Antonella Chiego insegna a rialzarci ogni volta che la vita ci colpisce, ogni volta che una persona in cui abbiamo messo la nostra fiducia ci delude, ogni volta e ancora un’altra volta. La lotta, bensì che con gli altri, è con noi stessi. 
“L’ultima Black Sky” si può capire come una storia di urban terror oppure come una riflessione sulla natura umana, con i suoi pregi e difetti. Un natura che, anche gli esseri sopranaturali, possiedono, perché partecipano della stessa natura, sono natura, e tutto nella natura non è assolutamente cattivo né assolutamente benigno. Il griglio è il colore della natura ed è proprio questo griglio quello che si deve capire perché, come detto, le cose non sembrano sempre quello che sono nella sua apparenza. Neanche questo bel libro di Antonella Chiego. 

Vedere su Amazon

domingo, 12 de marzo de 2023

El destino de la Tónica (Intrigas en la Scala) de Diego Minoia - BOOKTRAILER

La segunda aventura de Max y Fabiene, los dos jóvenes protagonistas de esta colección, los lleva hasta Milano. 
La curiosidad de Fabienne y la capacidad de observación de Max contribuirán a la solución de unos misterios que suceden durante las pruebas de Macbeth de Verdi, ópera destinada a abrir la Temporada lírica del Teatro alla Scala. Una serie de misteriosos accidentes que involucran al cantante ruso Jenissov crean en el teatro un clima en el cual las rivalidades personales se exacerban. Sexo, ansias de gloria, ambición, celos, son los impulsos que mueven a los personajes de esta historia, de fantasía, pero no demasiado alejada de la vida real. La música impregna cada instante de la novela y los dos protagonistas añaden al asunto algunos toques de ironía y de sentimiento. Al final la música vencerá sin importar las miserias humanas de algunos personajes. Después de la historia de espías El secreto de la Dominante, ambientada en Roma, la segunda aventura de Max y de Fabienne, los dos jóvenes protagonistas de esta colección, los trae a Milano. Entre la atmósfera navideña y los lugares típicos de la capital lombarda, a los dos, Max Minelli (pianista de piano-bar) y Fabienne Bouvier (su compañera, pintora), se verán conviviendo con las intrigas y las rivalidades artísticas durante las pruebas para la primera representación de la Temporada operística del más famoso teatro del mundo: la Scala. También en este segundo episodio la música es el hilo conductor o, para no salirnos del ambiente musical, el leitmotiv que recorre todo el relato. Entre golpes de escena y momentos divertidos e irónicos, famosas canciones de jazz y pop interpretadas al piano por Max, el asunto se entrelaza con la trama de la ópera que se está preparando: el Macbeth de Giuseppe Verdi. 

Ver en Amazon


domingo, 26 de febrero de 2023

GHE JERA NA TOSETA (C'era una bambina) di Sandra Dal Pra - RECENSIONE

 
Bruna è una donna in pensione:

dopo una vita di lavoro, dopo tanti avvenimenti, ora veniva pagata per non fare nulla, solo per prendersi cura di se stessa (pag. 7) 

Queste due righe dicono molto su questa donna e su quello che leggeremo nelle pagine successive: è una donna che guarda verso il futuro, come sempre ha fatto e che adesso può godersi la propria vita senza problemi. 
Ma qualcosa la confonde: una lettera dalla Svizzera. Cosa vorranno da lei? 
Questo è il punto di partenza dei ricordi di Bruna. Il lettore sa che adesso tutto è a posto, o quasi. Ma come è arrivata fino a qui Bruna? 
E allora questa donna comincia a ricordare: 
Il capitolo 2 comincia con la toseta Bruna che ha dieci anni; a questa tenera età deve portare a pascolare le mucche, nei pascoli, in alto. Siamo nell’anno 1930 e nei paesini di montagna del Veneto tutta la famiglia deve lavorare, anche le bambine di 10 anni. Ognuno fa quello che può. 
Allora, sappiamo che Bruna è una bambina speciale, premurosa, onesta, senza paura del duro lavoro, con un senso della famiglia non consueto per la sua età. Ed è anche una ragazzina intelligente a cui piace imparare. Inoltre è timida e cerca di non disturbare gli altri, l’unica amicizia che ha è quella con un ragazzo di nome Arturo. 
Adesso cominceremo a vedere in Bruna delle caratteristiche che l’aiuteranno attraverso il percorso della sua vita: buona lavoratrice, senso del dovere nei confronti con chi l’assume e con la sua famiglia, timida ma allo stesso tempo brava, con voglia di imparare, attenta a selezionare le sue amicizie, cosciente del posto che occupa nel mondo ma anche che questa epoca tanto brutta, dove deve patire la fame, per questo fa una promessa:  

(…) erano tempi duri per tutti e bisiognava ringraziare il cielo che quel suo lavoro avesse tolto una bocca da sfamare in famiglia: uno di meno voleva dire più cibo per gli altri. Decise però in quel momento che non avrebbe mai fatto patire la fame ai suoi figli, che avrebbe fatto di tutto per poter avere del cibo (pag. 14). 

È proprio in quei lontani tempi sente per la prima volta il pericolo. Una mucca, che avrebbe dovuto partorire presto, muore e con essa anche il vitellino. Questo fatto lascerà una profonda ferita nel suo animo e nel suo cervello. 
Perdonatemi questa lunga digressione sull’inizio del libro, ma è importante per capire il carattere così straordinario della piccola Bruna che già dimostra il tipo di donna che diventerà. 
Con un carattere tanto deciso la cosa normale è che tutto vada per il meglio, ma questo non significa che la vita di Bruna diventi un romanzo rosa, dove tutto si incastra perfettamente. 
Altrimenti, la vita di Bruna, da questo momento in poi sarà un andirivieni tra lavoretti sempre più impegnativi. 
La vita di Bruna è quella di molte donne. che tra gli anni trenta e gli anni settanta, subirono la Seconda Guerra Mondiale, il fascismo, il dopoguerra, l’emigrazione e il ritorno in patria le più fortunate. Ma fortunate non vuole dire una vita senza soffrire, senza dubbi sul suo futuro. 
Attraverso gli occhi di Bruna sappiamo delle abitudini dell’Italia di quei duri tempi, la sofferenza dei soldati italiani che furono costretti a combattere in un paese così lontano come la Russia, un posto dove morirono molti e da cui ritornarono i più fortunati con qualche ferita, avendo fatto di tutto per sopravvivere (il surrogato, la cucina economica) in un paese, l’Italia, dove i suoi dirigenti se ne fregavano del destino dei cittadini (la fuga del Re), e poi la Liberazione, il 28 aprile, ma anche le conseguenze di questa Liberazione, con il mostro del fascismo che non voleva arrendersi e faceva le sue strage ovunque, come un tipo di vendetta, come un mostro nei suoi ultimi spasmi sul punto di morire. 
E qui sta Bruna, osservando tutto quello che succede intorno a sé. Cerca sempre di andare avanti, di non arrendersi mai. Per me la scena più terrificante del libro è quella delle donne in fuga con i loro bambini per salvarsi dagli incendi e dalle destruzione delle loro case dalle sue case. 

Lungo il sentiero tutte stavano zitte, anche se molte piangevano, lei pensava a salvare sua figlia che le camminava accanto ma che dovette essere presa in braccio per lungi tratti in salita (…) Intanto però bisognava salvarsi… E andare su… Sempre avanti, oltre il sasso della polenta, oltre i laghetti, oltre la Balcugola e le briglie, su per i pendii erti della valle fino a arrivare a Roana. Era già quasi notte quando arrivarono, stanche, infreddolite, spaventate (pag. 81). 
E qui smetto di parlare dell vita di Bruna perché non voglio essere troppo prolissa e neanche togliere la sorpresa al lettore che per la prima volta apre il libro e si immerge nelle sue pagine e nella vita di una donna straordinaria, come tante altre donne che subirono le stesse esperienze. Donne testarde, con un anima forte e decisa, che non smisero di sperare in una vita migliore, donne pronte a rialzarsi dopo ogni caduta. Adesso credo che si chiama resilienza, io lo chiamo forza di volontà. 
Sandra Dal Pra ha scritto un bel libro, con una linguaggio semplice, ma per niente banale, in cui mostra non solo la vita di questa donna brava e coraggiosa ma anche quella degli uomini che l’hanno spinta a essere come poi è diventata: una donna libera, intraprendente. Senza l’appoggio di questi uomini (suo padre, i suoi mariti) la vita per Bruna forse sarebbe stata più difficile. Gli uomini che hanno avuto a che fare con Bruna sono stati anche loro bravi uomini, uomini del popolo, ma che hanno creduto in lei e nelle sue capacità. Mi è piaciuto molto le parti dove si parla in dialetto. Ho letto ogni parola del libro e, a volte, ho anche letto ad alta voce queste parole così diverse dell’italiano che conosco. 
Questa non è stato per niente una recensione facile; avevo preso molti appunti su come si era sviluppata la vita di Bruna e tutti quanti mi sembravano importanti. Ma come fare per non raccontare un’altra volta il libro? Come fare per non scrivere troppo e, allo stesso tempo, dire la mia sul libro? Così ho deciso cominciare con la Bruna piccola, perché in lei ci sono tutte le caratteristiche che si possono vedere nella Bruna adolescente, la ventenne, fino ad arrivare a questa Bruna in pensione.

Grazie Sandra Dal Pra per questo bel libro. Bravissima.

Vedere su Amazon


sábado, 25 de febrero de 2023

LA SOMBRA DEL CAMPANILE - de Stefano Vignaroli - BOOKTRAILER

 

Año 2017: la joven estudiosa Lucia Balleani, está ordenando y clasificando los textos de la biblioteca de la fundación Hoenstaufen mientras trabaja en el antiguo palacio que había sido la residencia de la noble familia Baldeschi – Balleani, de la que es una descendiente directa. Una serie de visiones ligadas a lo que le había ocurrido a su homónima Lucia Baldeschi, llevará al lector a descubrir junto a ella una oscura historia ocurrida en el mismo lugar 500 años antes.




Ver en Amazon

Ver Booktrailer

VÍDEOS


miércoles, 8 de febrero de 2023

EL DESTINO DE LA TÓNICA de Diego Minoia - Primeras páginas

 

Capítulo 1: 20 de noviembre – Miércoles

― ¡Eres un baussia1! ― me apostrofa riendo Fabienne con su adorable acento francés, hundida en una de las cómodas butacas del vestíbulo del Grand Hotel Piermarini Scala, un cinco estrellas lujoso en el centro de Milano. 
Cerca de nosotros hay un gigantesco árbol de Navidad y los escaparates con nieve falsa de los negocios del interior del hotel nos recordaban la inminencia de las festividades más apreciadas del año, si bien todavía faltan más de cuarenta días para la fatídica fecha. Ahora ya, desde hace bastantes años, sin embargo, se ha adoptado la costumbre, basada en una razón puramente comercial, de anticipar cada vez más la instalación de los adornos navideños en las calles y en los escaparates de la ciudad. La tradición milanesa, de hecho, establecía el 7 de diciembre, San Ambrogio, para la instalación del árbol de Navidad y los belenes. 
― Para empezar, no se dice baussia, sino bauscia la sermoneo de manera pedante, desde una butaca cercana a la suya mientras su mirada vaga sobre las distintas personas que pueblan esa mañana el Hotel y además, ¿dónde has aprendido esa jerga milanesa? 
¡Oh, la, la! ¡No pensarás que eres la única que persona con la que salgo en Milano!, me responde lanzándome de reojo una mirada astuta. Desde que estamos aquí, después de haber dejado, hace cuatro días, el Marco Aurelio Palace de Roma, me estás ignorando a causa de tus obligaciones… así que he encontrado a alguien que me hace compañía. 
A continuación, empleando su mejor postura de modelo soy la más bella del reino, me lanza la cuchillada definitiva. 
― También aquí, en Milano, por lo que parece, el encanto francés es muy apreciado. No me faltan admiradores. 
― ¿Conque esas tenemos?, le respondo siguiéndole el juego y mostrando en mi cara el furor más melodramático que puedo. Mientras yo estoy ocupado arreglando todos los trámites burocráticos y profesionales necesarios para el traslado a un nuevo hotel… ¡tú… tú… pérfida… y aquí subrayo la palabra con un gesto teatral al estilo del cine mudo te aprovechas de esto de manera innoble! 
La risotada argentina de Fabienne aprueba mi interpretación y pone fin a mi actuación. 
― ¿Por lo menos sabes lo que significa bauscia
― ¡Claro! Se lo he escuchado decir a uno de los camareros esta mañana, en la sala donde hemos desayunado. Tu te habías ido a la cita con el afinador de tu amado piano y yo, mientras acababa de comer las tostadas con mermelada que me habías preparado en el plato antes de irte, estuve observando a las personas de las otras mesas. 
― La habitual curiosona, le reproché. 
― Para nada, era sólo una manera de pasar el tiempo… y además, sabes que observando a las personas se comprenden muchas cosas… ¡tú me lo has enseñado!, me responde Fabienne un poco enfadada. Por otra parte, si no hubiese sido por mi curiosidad, como tú la llamas, nunca hubiera sabido que los secuestradores del Director de la orquesta Wang se lo habían llevado a la residencia enfrente de nuestro hotel en Roma. 
― Es verdad, lo admito, reconozco con magnanimidad. ¡La solución del caso del Secreto de la Dominante también fue mérito tuyo, pero debes convenir, añado con ironía, para evitar que se le suba a la cabeza que no todas tus observaciones e intuiciones son correctas. ¿Recuerdas que habías sospechado que los dos clientes que estaban degustando vodka y caviar en el piano-bar se habían metido en la habitación de nuestros amigos chinos? 
― Vale, no habían sido ellos, admitió un poco enfurruñada pero aquellos dos no eran ajenos al asunto… y finalmente mi intuición no fue totalmente equivocada. 
― Vale, vale, respondo sonriendo entierra el hacha de guerra y volvamos a esta mañana en el comedor. ¿Qué tiene que ver el bauscia?. 
― ¡Ah, sí! Uno de los camareros jóvenes estaba dando vueltas sin parar alrededor de una mesa ocupada por tres personas, una familia. Los padres y una hija de unos veinte años, muy simpática. 
― ¿Y bien?, la incito. 
― Obviamente la muchacha le gustaba mucho al camarero, dado que él pasaba constantemente por la mesa para preguntar si todo estaba bien, si querían más mermelada, si deseaban zumo de naranja… en fin, ¡lo estaba intentando! 
¿Y el bauscia? insisto. 
Ahora voy a eso. Después de un buen rato con este cortejo gastronómico, el compañero del camarero, que mientras tanto tuvo que servir al resto de las mesas del turno que compartía con el latin lover, lo ha llamado al orden mientras se cruzaba con él cerca de mi mesa le ha susurrado “Eh, Alberto, ¡no seas baussia!, sirve también a las otras mesas”. 
Se dice bauscia y no baussia le repito Pero, ¿qué tiene que ver conmigo, por qué me has dicho antes bauscia
Porque también me estabas halagando y te comportabas como un donjuán, como el camarero con la muchacha de la mesa. 
Bueno, en realidad el término bauscia no quiere decir exactamente lo que has entendido le explico En el dialecto de Milano se define bauscia a una persona que se da aires, al que le gusta parecer de una categoría superior a la que realmente tiene, uno que quiere dar su opinión aunque no conozca el tema… ¡un fanfarrón, en suma! 
¡Mon Dieu! exclama Fabienne consternada ¡por suerte te lo he dicho a ti y no a un cliente de los que vienen a felicitarte cuando tocas! ¿Te imaginas qué papelón habría hecho? 
Efectivamente, no hubiera sido muy correcto llamar fanfarrón a un cliente del hotel le confirmo sin embargo podrías haber encontrado a alguien que no conociese el vocablo… y de todos modos, cualquier hubiese aceptado ser llamado baussia (se lo digo repitiendo su versión distorsionada) por una hermosa muchacha con acento francés digo burlándome de ella. 
¿Has visto qué tiempo hace? me pregunta Fabienne cambiando de repente de tema y señalándome el cielo gris y otoñal de aquella mañana milanesa. 
¡Querida, te habías acostumbrado perfectamente al clima de Roma! Ahora estamos a mediados de noviembre y aquí, en Milano, en otoño y en invierno, las cosas son muy distintas: cielo gris, nubes que se deslizan sobre la llanura padana que a menudo dejan caer una pequeña cantidad de lluvia, frío creciente y húmedo, una gran cantidad de contaminación en el aire y, si tienes suerte, ¡incluso un poco de niebla! Aunque, en honor a la verdad, en los últimos años los días nublados están disminuyendo… y de todos modos, en la ciudad es raro que la niebla se meta en los barrios del centro. Es más un problema de la campiña de Lombardía
¡Me has traído a un sitio maravilloso! exclama horrorizada Teniendo en cuenta tu descripción, ¡no se entiende porqué la gente desea venir a esta ciudad! 
¡Pero, no! me apresuro a tranquilizarla lo que te he dicho representa el estereotipo con que se describe Milano. Es verdad, no tiene todas las bellezas arqueológicas de Roma y ni siquiera el clima de la Costa Azul, a la que estás habituada, pero esta ciudad tiene muchos aspectos agradables e interesantes. 
Bueno, claro, la moda… me interrumpe la marisabidilla. 
Cierto, pero no sólo esto. Milano es la ciudad de los negocios, está la sede de la Bolsa italiana, donde se cotizan las acciones de las principales empresas italianas. 
¡Fantástico! me interrumpe de nuevo Fabienne torciendo la nariz ¿de qué me sirven la Bolsa y las acciones? Las únicas bolsas que me interesan son las que veo en los escaparates de los negocios de las grandes firmas. 
Es verdad, para ti es así continúo hablando pacientemente pero muchos de los clientes del hotel están aquí por negocios. Y además, no es sólo eso. Milano es un centro cultural de primer orden, con museos y teatros, donde se dan espectáculos de todo tipo. 
¡Oh, sí, el Teatro della Scala! dice Fabienne, alardeando de sus conocimientos culturales. 
En realidad se llama Teatro alla Scala la corrijo y el nombre proviene del hecho de que, para dejar espacio a su construcción, en el año 1776, por culpa del arquitecto Piermarini (el mismo que da el nombre a nuestro hotel) fue demolida una iglesia consagrada a Santa Maria alla Scala. 
¡Típicamente italiano! ¡Entre la espiritualidad y la diversión vosotros siempre escogéis la segunda! puntualiza de manera mordaz. 
Salvo porque lo que dices es un tópico, que a menudo tiene su fundamento, pero no vale para todos los italianos la reprendo picado la decisión la tomaron los austríacos, que dominaban en aquella época la región Lombarda – Veneto. Pero olvidémonos de estas cosas me interrumpo, porque no quiero liarme con una discusión sobre el carácter y los defectos de los italianos. Yo conozco perfectamente esta ciudad y he aprendido a quererla por lo que puede ofrecer. Sabes que estudié aquí, en el Conservatorio, por lo tanto, poco a poco, tuve la oportunidad aprender a comprenderla, explorándola todos los días y descubriendo su alma escondida. Justo de esta manera, insisto Milano tiene un alma recóndita que sólo con la convivencia y una mirada abierta y curiosa es posible notar. Sin embargo, es necesario explorarla a pie, como se debería hacer con todas las ciudades. Sólo de esta forma se pueden descubrir, detrás de la pátina gris y desapegada, sus mejores rincones: fragmentos verdes de jardines maravillosos que nos hacen señas desde las aberturas de los grandes portones de palacios nobles, callejones y barrios del centro que, milagrosamente, parece que se han mantenido atemporales, el romanticismo de lo que queda de los Navigli, las antiguas vías de agua que antaño atravesaban amplias zonas de la ciudad. 
Um, Señoría ―bromea Fabienne dirigiéndose a un imaginario Juez con un tono de fiscal de serie de televisión norteamericana ―la apasionada intervención del abogado defensor me ha convencido para conceder a esta ciudad un período de prueba con el fin de que pueda demostrar las cualidades anteriormente enumeradas. Por supuesto, será responsabilidad del abogado defensor ―continúa, dirigiéndose a mí con una simpática mueca en la cara ―mostrarme las bellezas escondidas de la ciudad. 
De acuerdo, Señoría ―confirmo con el mismo tono de sala de un juzgado, dirigiéndome al mismo inexistente juez sentado en la butaca vacía enfrente de nosotros. ―Acepto el acuerdo propuesto por la acusación y declaro cerrada esta querella. 
¿Realmente me llevarás a conocer los secretos de la ciudad? ―me pregunta con aire suplicante. 
¡Prometido! ―le confirmo ―pero lo haremos en los próximos días, tan pronto como esté arreglado todo lo relacionado con nuestra llegada en este hotel. Ahora tenemos otras cosas que hacer ―le recuerdo levantándome. ―Tú, por ejemplo, tienes una cita con Federico Viscardi, el propietario del negocio de antigüedades que está a la derecha de la entrada principal del vestíbulo. Ayer hablé con él. Creo que te gustará. Es un anciano señor muy distinguido que gestiona el negocio más por pasión que por lucro. Se ha pasado toda su vida entre obras de arte y antigüedades y, en cierto sentido, ha asimilado una cierta gracia en su forma de moverse y de hablar. Verás cómo apreciará tus porcelanas y de buen grado las pondrá en las vitrinas. Te he fijado una cita para las 11 ―le digo mirando al reloj ―dentro de diez minutos. 
Mer… ―comienza a decir Fabienne, interrumpiéndose enseguida porque le he explicado que esa exclamación usada en Francia con mucha naturalidad, en el resto del mundo puede aparecer como fuera de lugar y poco refinada ― ¿A qué esperabas para decírmelo? ¡Sabes que odio llegar tarde a las citas!… y todavía debo subir a la habitación a coger el book con las fotos de los diseños que podré dejarle. 
Ni siquiera me da tiempo a excusarme por el olvido cuando me susurra A bientôt dándome un rápido beso en los labios… y ya está en medio del vestíbulo, como una ráfaga de colorido mistral provenzal, que se vuelve hacia mí enviándome unos besos haciendo un gesto con la mano sobre la boca. 
Nos vemos en nuestra mesa a la hora de comer ―le hago entender por señas. Me responde con el ademán de OK mientras las puertas del ascensor se cierran para llevarla al sexto piso, donde tenemos nuestro mini apartamento. El gusto de su beso todavía lo conservo en mis labios. Acaba de desaparecer de mi vista y ya siento su ausencia. 
¿No será que esta vez, querido Max ―digo para mis adentros ― estás localmente enamorado y preparado para dar el gran paso del matrimonio? 
Dejo esta pregunta vagar en mi mente durante un rato, luego me apresuro también para seguir con mis ocupaciones.

1Nota del traductor: baussia (dialecto milanés) = bauscia (italiano), significa bocazas

Ver en Amazon

Ir a TRADUCCIONES