viernes, 21 de enero de 2022

LE CICATRICI D'ORO di Maria Adelle Cipolla - RECENSIONE

      
Le cicatrici d’oro è il secondo romanzo di Maria Adele Cipolla che leggo e recensisco. Non mi ha deluso. Anche se sono una donna, i libri sulle donne o che hanno di protagonista una donna non mi piacciono affatto, ma ci sono delle scrittrici come questa donna siciliana (ci sono altre donne che scrivono e che mi piacciono, non vi arrabbiare con me) che sanno scrivere in modo semplice, carino, veritiero, che non usano un linguaggio falso e di commiserazione. Tutte quante le scrittrice che sono state recensite da me sono donne forti, con carattere, con le idee chiare su quale è l’atteggiamento corretto di una vera donna. 
    Le cicatrici d’oro racconta della Sicilia degli anni sessanta. Un periodo difficile per tutte le donne di Europa, per quanto ne so io, giacché la società sta cambiando e le donne vogliono cambiare con essa. Anzi, vogliono cambiare la società per quanto riguarda il rapporto con le donne. Sia in Italia che in Spagna le donne dovevano rimanere a casa oppure, se lavoravano, dovevano farlo con il consenso del marito. Per nominare una delle cose che non potevano fare liberamente. 
    Il libro di Maria Adele Cipolla è la storia di due donne: Rita, una donna appartenente a una famiglia benestante cittadina, e Francesca Viola, una ragazza rapita da otto giovanotti, tra i quali c’era il suo pretendente. Ossia stiamo a parlare del famoso rapimento per forzare i parenti delle due famiglie a un matrimonio. 
    Entrambe le donne, Rita e Francesca, appartenenti a ceti sociali diversi, hanno qualcosa in comune: la sottomissione delle donne al marito, alla legge, ai commenti malintenzionati della società. 
    Così le quasi 400 pagine del libro di Maria Adele Cipolla è qualcosa in più di due storie: è la storia dello sviluppo di tutte le donne del mondo per trovare il loro spazio, la loro libertà, per rendere visibili i loro pareri, i loro sentimenti e le loro speranze. 
    La lotta di Rita per diventare magistrata ed essere felice va unita alla lotta di Francesca per non essere data in sposa al suo violentatore, una legge ingiusta e feroce che non prende in considerazione la parte più debole, la donna. Ognuna di loro, senza neanche conoscersi, lotteranno per abolire questa legge e per diventare liberi in un mondo che ancora non capisce che una donna non appartiene a nessuno, soltanto a se stessa. 
    Ma questo libro non è soltanto un libro di donne, parla anche degli uomini: di quelli chiusi di menti che usano le donne come se fossero un fazzoletto di carta (il marito di Rita, Giorgio; il violentatore di Francesca; il suocero di Rita…) e quelli che, anche se hanno una mentalità antica per quanto riguarda il ruolo delle donne, cercano di cambiare, di capire (il padre di Rita, i suoi fratelli, il vecchio professore di giurisprudenza…) e che, alla fine, riconoscono la giustizia dell’atteggiamento delle donne nelle loro famiglie. 
    Non voglio finire questa recensione senza nominare a un terzo tipo di donne che soffrivano una violenza fuori del comune: le donne di servizio. Nella pagina 175 del libro Maria Adele Cipolla scrive: 

Il costume dei tempi era quello di togliere le bambine alle famiglie di paese che non potevano mantenerle, per poi addestrarle a diventare donne di servizio. Era ciò che era successo a quella povera bambina della provincia di Messina, di cui parlavano le cronache, si chiamava Graziella Parisi ed era stata assunta a undici anni dalla famiglia di un capostazione di Castel Di Tusa. Nei quattro anni di servizio la padrona l’aveva trattata a botte e calci, al punto da provocarne l’agonia, e a quel punto aveva ritardato di ore il suo soccorso lasciandola morire. Era una violenza fuori dal comune, a cui nessuna signora del suo ambiente era mai ricorsa, di questo Rita era sicura, ma era pur vero che, come diceva Crocetta, quelle bambine venivano consegnate a famiglie che spesso le trattavano come schiave

    Perché la violenza contro le donne non ha a che vedere con il ceto sociale, né col vivere in città o in campagna, è una violenza brutale che nasce della paura e della debolezza di chi la fa.
    La maniera di scrivere di Maria Adele Cipolla, semplice, scorrevole, chiamando le cose col proprio nome, senza paura di essere malintesa, mi è piaciuta. 
    Questo libro si deve leggere non solo per ricordare il camino che hanno fatto le donne finora per diventare libere e intraprendenti, anche perché le nuove generazioni capiscano come si è potuto arrivare a una libertà ottenuta di sacrifici, di sudore, di lacrime, di incomprensione. Perché non si deve mai tornare indietro, sempre avanti, come fanno Rita, Francesca, Crocetta e le otto donne che negli anni sessanta diventarono giudice contro ogni previsione.